
Le origini sfumano lontano nel tempo quando, sull’altura a guardia della valle, si ergeva una rocca ben munita. Il toponimo “Vallo” deriva dal fossato irto di pali acuminati che difendeva le mura delle città romane e le palizzate degli accampamenti. L’idronimo “di Nera”, relativo al fiume, è stato agiunto nel Novecento. Ai tempi di Federico II, il castello di Vallo di Nera era parte dei domini imperiali soggetti a Corrado di Ursingen duca di Spoleto. Nel 1198, entrò a far parte dei domini della Chiesa. L’8 settembre del 1217, dopo aver raso al suolo la rocca imperiale, il podestà di Spoleto concesse agli abitanti di Vallo di costruire un nuovo castello sulla cima del Colle Flezzano. Oggi questo borgo è ancora lì, pronto per essere scoperto a Pasqua. Il perchè farlo? Ecco 3 buoni motivi che vi sveleremo nelle prossime righe.
Viaggiare nel Medioevo esplorando il centro storico
Il castello conserva ancora il cassero, buona parte della cinta muraria e la possente torre munita di mensoloni e caditoie “a difesa piombante” da cui gli assediati facevano piovere pietre ed olio bollente. Notevoli sono la porta est di accesso e la porta doganale col suo lungo andito coperto da volte e soffitti di tavole. Tipico, all’interno delle mura, l’andamento pianeggiante e circolare della strada di mezzo da cui partono ripide rampe in salita o in discesa che raggiungono quote diverse. Sugli stretti vicoli avari di sole e densi di ricordi, tra una casa e l’altra s’inarcano cavalcavia e, qua e là, s’affacciano giardinetti ed orti pensili retaggi di spazi un tempo edificati. Lo stemma del castello un tempo recava l’immagine di San Giovanni Battista, patrono del borgo: dal 1881, anno di uificazione delle tre Comunità di Vallo, Paterno e Meggiano in unico Comune, mostra una fortificazioe sovrastata da tre torri a ricordare i castelli principali del territorio.
Vallo di Nera, scorcio
Scoprire gli affreschi della Chiesa di Santa Maria Assunta
Adiacente le mura di cinta, sorge la Chiesa di Santa Maria Assunta. Agli inizi del Trecedento sul fianco del santuario era stato costruito il convento dei minori conventuali ed una delle torri di difesa era divenuto il campanile della chiesa. Tra gli affreschi di questo scrigno di arte medioevale non si possono non citare il Martirio di Santa Lucia, l’immagine ieratica di San Francesco, la Dormitio Mariae, le storie di Cristo realizzate da Cola di Pietro e Francesco di Anotnio, la Madonna del Maestro di Eggi, la Processione dei Bianchi, Sant’Antonio Abate con maialini cintati, Santa Chiara e San Maria egiziaca dai lunghi capelli ed una Trinità con tre teste. I commitenti che finanziarono la realizzazione degli affreschi, di cui oggi si è perso il nome, fecero inserire dagli artisti convocati per la stesura del colore i loro nomi all’interno dei cicli pittorici: fu così che nuovi affreschi si sovraposero ai nuovi, documentando l’intensità e la persistenza d’una devozione iniziata con le prime communitates sparse sul territorio. Preghiere plasmate in figure, invocazioni solidicate nelle terre delle tempere che chiedono a Dio, mediante i santi intercessori, la salute la difesa invocando la salvezza per l’anima: “et salutare tuum da nobis“.
Chiesa di Santa Maria Assunta
Tuffarsi nella storia di Vallo di Nera percorrendo le orme del condottiero Petrone
A Vallo, fatti storici molto significativi, che riguardano anche i castelli vicini, si registrano durante il periodo delle rivolte comunali per l’indipendenza del greve gioco di Spoleto: nel 1522, un capo-popolo vallano, in sanguigno Petrone, alleatosi con Picozzo Brancaleoni di Scheggino, capeggiava le bande di rivoltosi. Dopo aver tentato di occupare il castello di Scheggino, difeso dalle donne del villagio, non esitò a saccheggiare il borgo natio. Fu così che Spoleto, alla testa di un piccolo contingente, inviò il governatore spagnolo Don Alfonso di Cadorna a trattare coi rivoltosi: il 9 settembre del 1522, ottanta uomini capeggiati da Petrone sbaragliarono i soldati spoletini e trucidarono il giovane gobernatore. Nuove truppe furono inviate a sedare la ribellione. Messo in fuga e braccato, Petrone trovò rifugio in un casolare dove si trincerò insieme al figlio. Il fuoco ebbe ragione del fiero ribelle il cui cadavere, con le mani mozzate ed appese al collo, venne portato a Spoleto come trofeo e monito ai traditori della patria.