Considerato lo Shangri-La dell’Asia Centrale, il Kirghizistan è una piccola nazione priva di sbocchi sul mare, il cui territorio, prevalentemente montuoso, è circondato da frastagliate catene punteggiate di cime vertiginose. Un vero e proprio paradiso per il popolo nomade dei kirghisi che, provenienti dalla Siberia, erano in cerca di grassi pascoli e difese naturali; una meta insolita e inaspettata per il viaggiatore curioso.
Quando nel 1991 l’Unione Sovietica crollò, la sconosciuta repubblica del Kirghizistan cadde in una sorta di limbo, apparentemente senza risorse né attrezzature per sopravvivere da sola. Finora ha retto grazie a una buona dose di coraggio e alla generosità dei paesi occidentali e sta facendo molto più di qualsiasi altra repubblica dell’Asia centrale per incentivare il turismo, essendo una delle poche cose che ha da vendere al resto del mondo. Molti viaggiatori considerano il Kirghizistan la più piacevole, accessibile e ospitale delle repubbliche dell’Asia centrale, soprattutto perché sul suo territorio si ergono le catene del Tian Shan centrale e del Pamir Alay, le montagne più belle dell’Asia centrale. I pascoli d’alta quota durante i mesi estivi si popolano di allevatori che dai villaggi, con le loro famiglie, si trasferiscono qui per pascolare il loro bestiame.
Il Picco Lenin, chiamato oggi ufficialmente Koh-i-Garmo, appartenente alla catena del Trans-Alaj, con i suoi 7.134 m di altitudine è una delle più alte vette del Pamir. Scoperto nel 1871 dall’esploratore russo Fedčenko, nel 1928 venne ribattezzato Picco Lenin in onore dello statista russo. La vetta è molto popolare fra gli scalatori, che dal campo base di Achik Tash, nei pressi del villaggio di Sary Moghul, iniziano il loro arduo percorso per raggiungerla e conquistarla. Altro incantevole angolo del Kirghizistan è il lago Song Köl, “l’ultimo lago”. La pista avanza sinuosa attraverso i terreni montuosi e all’orizzonte sembra scomparire nel cielo, e forse è proprio a questo che deve il suo particolare nome. Ubicato a 3.020 m di altitudine, il lago alpino è circondato da rigogliosi pascoli: è infatti molto apprezzato dai pastori semi-nomadi della Valle di Kochkor che vi trascorrono i mesi estivi con il loro bestiame: yak, pecore e cavalli.
La Yurta. Calde d’inverno, fresche in estate, relativamente leggere e facili da trasportare, le tradizionali yurte dei nomadi, costituite di feltro a più strati – kiyiz – che viene tirato attorno a un’intelaiatura pieghevole di legno – kerege – popolano gli erbosi pascoli d’alta quota del Kirghizistan, gli Jayloo. Lo strato di feltro più esterno viene rivestito di grasso di pecora per renderlo impermeabile, mentre lo strato interno è coperto di tappetini tessuti con l’erba d’alto fusto, chiamata chiy, in modo da bloccare il vento. Strisce di tessuto di lana di diversa lunghezza, chiamate tizgych e chalgych, assicurano le pareti e le aste. In tutto, per allestire o smontare una yurta sono necessarie circa tre ore…per un kirghiso, ovviamente. L’interno è riccamente decorato con bei tessuti dai vivaci colori che ricoprono anche le pareti, trapunte, cuscini, borse di cammello o di cavallo e cofanetti dalle elaborate decorazioni a intaglio. I pavimenti sono rivestiti con spessi tessuti di feltro – koshma – e coperti di colorati shyrdak.
Lo Shyrdak. Nessun altro prodotto artigianale ricorda il Kirghizistan più dello shyrdak, il tappetino di feltro tipicamente usato dai nomadi. Gli shyrdak vengono confezionati durante i mesi estivi con ritagli di lana di pecora, dopo settimane di lavaggi, asciugatura, tintura e trattamento antitarme.
I modelli sono di solito kochkor mujuz (motivo vegetale), teke mujuz (motivo a corno di stambecco) o kyal (arabeschi di fantasia), con una bordatura particolare tipica della regione. I disegni a colori vivaci sono stati introdotti negli anni ’60, grazie alla disponibilità di tinture sintetiche, anche se attualmente si sta assistendo a un ritorno dei colori naturali, ricavati dalle foglie di pero e lampone o dalle radici di dalia e betulla, per esempio. Sono facilmente reperibili anche gli shyrdak nei colori neutri che non sbiadiscono. In due o tre mesi di scrupoloso lavoro, le donne kirghise, lavorando insieme, possono assemblare un bel tappeto che può durare una trentina d’anni.
Ulak Tartish, uno sport ancestrale. Chiamato più comunemente Buzkashi, che significa “acchiappa la capra”, e praticato in tutta l’Asia Centrale, vede due squadre contrapposte di cavalieri su un grande campo. Vagamente simile al polo, lo scopo del gioco è impadronirsi della carcassa della capra e lanciarla in una area definita per aggiudicarsi il punto. Il gioco, di origine mongola e risalente ai tempi della prima invasione da parte di Gengis Khan, non è regolamentato per iscritto dunque risulta a tratti violento, viste le possibilità di colpire il cavaliere avversario o il suo cavallo con il frustino o spingersi e strattonarsi reciprocamente. La squadra vincitrice del match si aggiudica la capra. L’ Ulak Tartish è il gioco nazionale kirghiso, amato da tutta la popolazione locale. Un detto popolare afferma che i bambini kirghisi imparano a cavalcare ancor prima di saper camminare e sin da molto piccoli apprendono quest’arte sportiva, talvolta percepita come un combattimento dagli “spettatori” stranieri.
Programma dettagliato: Montagne e nomadi
Data di partenza: 5 Agosto, in via di conferma
con nostro accompagnatore dall’Italia
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