Di Niccolò Garbarino
Legno, stucco, terracotta e cera, ma anche cartone, creta, lana, stoppa, fili di ferro e cartapesta. I mastri presepisti partenopei, con i loro capolavori di alto artigianato, hanno conquistato tutta Europa fin dal Cinquecento e ancora oggi, dalle botteghe di San Gregorio Armeno su Spaccanapoli, questa magia continua a rievocare storia, arte e cultura di un glorioso passato nelle case di milioni di italiani.
Ma partiamo dalle origini. O’ Presebbio, come lo chiamano nella bellissima Napoli, è la rappresentazione della nascita di Gesù bambino ambientata tradizionalmente nella Napoli barocca del Settecento, sotto il governo dei Borbone. La ricostruzione della Natività infatti non è storica; non troviamo il classico scenario palestinese, ma la quotidianità – e la teatralità – che animava piazzette, vie e vicoli del XVIII secolo. E la nascita del Cristo, dunque, s’intreccia fin da subito fra spiritualità e realismo, nel quotidiano vivace delle strade di Napoli.
Sono in pochi oggi a conoscere la vera origine del presepe, o presepio, che sarebbe addirittura più remota del cristianesimo stesso. Esso è certo una rappresentazione ricca di simboli: alcuni di questi provengono direttamente dal racconto evangelico, come la mangiatoia (dal latino ‘praesepe’, greppia, stalla, mangiatoia), l’adorazione dei pastori locali o il canto degli angeli nel cielo stellato, altri invece appartengono all’iconografia propria dell’arte sacra, come il manto blu “oltremare” di Maria, il colore più raro e costoso sulla tavolozza dei pittori medievali, creato a partire da un minerale più prezioso dello stesso oro, o le vesti di San Giuseppe, in genere dai toni dimessi a rappresentarne l’umiltà. Altri particolari scenografici traggono ispirazione dai Vangeli cosiddetti “apocrifi” e dal Protovangelo di Giacomo sull’infanzia del bambin Gesù. Molti aspetti derivano però da tradizioni più recenti: il presepe napoletano, ad esempio, aggiunge alla scena le sue maschere e i suoi personaggi popolari, le osterie, i commercianti e le case tipiche dei borghi agricoli.
Nel Regno di Napoli, a partire dal 1400 e prima che nel resto d’Italia, si diffuse la consuetudine di allestire presepi nelle chiese; storicamente importante è quello con figure lignee di fine XV secolo custodito a San Giovanni in Carbonara, in cui la raffigurazione di profeti e sibille ci fa incuriosire sugli originari legami tra presepi, misteri e sacre rappresentazioni… La tradizione di ricreare ambientazioni all’interno delle case con piccole statuette, infatti, era già diffusa nell’antica Roma Repubblicana. In ogni abitazione romana vi erano presenti questi piccoli oggetti raffiguranti i Lari, ovvero gli spiriti degli antenati degli abitanti della casa e protettori della famiglia stessa. Molto spesso queste statuette di terracotta raffiguravano persone realmente esistite e ricordate dalla famiglia, ma simboleggiavano delle figure archetipe come il saggio anziano, la donna protettiva o il giovane coraggioso: insomma personaggi che certo non fatichiamo a ritrovare nel presepio contemporaneo.
E’ poi curioso che proprio tra il 17 e il 23 di dicembre nella Roma pagana si svolgevano i “Saturnali”, ovvero la celebrazione dei Lari, e in ogni famiglia si preparavano delle piccole ambientazioni domestiche in cui porre la statuette ridipinte per l’occasione come se, per un breve periodo, i parenti defunti tornassero a vivere coi propri cari. Al termine di questi giorni di festa, i Romani avevano l’abitudine di scambiarsi regali e doni, proprio di fronte a queste ambientazioni: un gesto che ricorre ancora oggi in molte case del mondo.
Secoli dopo il presepe rinasce per essere una preghiera e una rappresentazione del mistero natalizio accessibile a tutti. La prima ricostruzione della Natività si attribuisce generalmente a San Francesco d’Assisi, che la compì a Greggio nel 1223, secondo la testimonianza di San Bonaventura; ma l’ideatore del presepe popolare nella città vesuviana fu San Gaetano Thiene, che agli inizi del Cinquecento diede un impulso decisivo all’immissione di personaggi secondari, vestiti sia secondo le fogge antiche sia dell’epoca a lui coeva. A differenza dello scarno presepe francescano, composto, secondo la tradizione, da personaggi viventi, in terra partenopea si adottano le statuine in terracotta. Da questo momento il presepio non sarà più un semplice simbolo natalizio, ma un vero e proprio genere di artigianato artistico, una rappresentazione teatrale in bilico fra il sacro ed il profano che porterà le grandi famiglie nobiliari napoletane ad una accesa competizione su chi possedeva il presepio più bello e sfarzoso: i nobili impegnavano per la loro realizzazione intere camere dei loro appartamenti ricoprendo le statue di capi finissimi di tessuti pregiati e scintillanti gioielli autentici.
Una tradizione, questa, che ancora oggi prosegue intensa tra le vie di San Gregorio Armeno dove ogni anno le bancarelle si popolano di nuovi personaggi, spesso ispirati ad attori, politici, soubrette e calciatori. Ogni cosa offre richiami a personaggi o simboli del vivere umano e cristiano. Avvicinandoci ad una di queste bancarelle in San Gregorio Armeno – un tempo sede del culto di Cerere, alla quale i cittadini offrivano, a seguito di un voto, le piccole statuine di terracotta fabbricate nelle vicine botteghe – troviamo subito i personaggi tipici del presepe napoletano. C’é Benino, il pastorello che sogna l’avvento di Cristo e il venditore di vino che sta a simboleggiare l’Eucarestia; zi’ Vicienzo e zi’ Pascale, ovvero il Carnevale e la Morte; tra sacro e profano, è certamente possibile rintracciare anche Cicci Bacco, derivazione del dio pagano; e ancora la Zingara, o Sibilla Tiburtina, che prevede la passione di Cristo. Nei pressi dell’osteria ritroviamo la meretrice, simbolo erotico per eccellenza, contrapposto alla purezza della Vergine; nei pressi dell’impetuoso fiume, simbolo sacro di vita e purificazione e dello scorrere del tempo, ci imbattiamo nel pescatore, simbolicamente il pescatore di anime – il pesce fu il primo simbolo dei cristiani perseguitati dall’Impero. E quindi nani, pezzenti, tavernari e ciabattini, ovvero la rappresentazione degli umili e dei derelitti: le persone, cioè, tra le quali Gesù nasce.
E ci sono anche luoghi dal forte significato simbolico. Particolarmente interessante fu innanzitutto l’aggiunta, nel crudo verismo di questa sorta di suburra, dei resti di edifici romani, messi a sottolineare il trionfo del cristianesimo sorto sulle rovine del paganesimo: la ricerca archeologica ebbe infatti particolare influenza nell’impianto presepiale partenopeo del Settecento perché lo stesso Carlo Sebastiano di Borbone promosse, e condusse, i primi scavi nelle zone di Pompei ed Ercolano. Ci imbattiamo poi nelle botteghe cittadine, all’interno delle quali risaltano alcune figure che rappresentano i dodici mesi dell’anno (salumieri, panettieri, venditori di uova o di polli etc.); troviamo l’osteria e la taverna, luoghi di ristoro, tappa obbligatoria per viaggiatori e pellegrini, ma anche simbolo del viaggio di Giuseppe e Maria in cerca di un alloggio a Betlemme. Nel repertorio narrativo riferito alla taverna ricorrono molto spesso figure di albergatori avidi e corrotti che per denaro avvelenano e uccidono nel sonno gli sventurati viaggiatori. Il classico ponte è invece simbolo di passaggio e di transito, che collega il mondo dei vivi a quello dei morti, nonché luogo di spaventosi incontri notturni; diverse leggende rimandano invece al pozzo: secondo alcune di esse era vietato bere o attingerne l’acqua nella notte di Natale, poiché in essa erano contenuti spiriti diabolici capaci di possedere per tutto il nuovo anno la persona che avesse bevuto.
O’ Presebbio insomma divenne una “sacra vanità”, irrinunciabile esibizione del potere economico e politico di quella classe nobiliare che pure si faceva ritrarre nelle sculture dei pastori. Grazie alla famiglia reale si diede il via ad un collezionismo illuminato e ricercato, che ha fatto giungere fino a noi dei grandi capolavori artistici ancora visitabili al Palazzo Reale di Napoli, alla Reggia di Caserta, al Museo di San Martino e in molte, moltissime, collezioni in Spagna ed oltre oceano.