Testo di Anna Maria Arnesano e Foto di Giulio Badini
La regione dell’estremo sud-est del Venezuela, nazione con indiscusse peculiarità etnografiche e naturalistiche e un’estrema varietà geografica, verso i confini con Brasile e Guyana prende il nome di Gran Sabana. Si tratta di un vasto altopiano, grande due volte la Sicilia e chiuso ad est dai rilievi montuosi della Guyana alti fino a 3.000 m, formato da rocce sedimentarie cristalline e arenacee tra le più antiche del pianeta – facenti parte del supercontinente originario di Gondwana e quindi vecchie più di 2-3 miliardi di anni, cioè ben prima della comparsa della vita sulla terra – ricche di giacimenti di oro e diamanti, mentre la lussureggiante vegetazione rappresenta una transizione tra la savana e l’intricata foresta tropicale amazzonica, solcata da una miriade di corsi d’acqua tutti affluenti dell’Orinoco, terzo fiume del continente, sui quali si concentra una scarsa presenza umana di indios amazzonici. Parte del territorio rientra nel parco nazionale di Canaima, sito Unesco, sesto per dimensioni al mondo (più esteso del Belgio) e famoso per l’elevata densità di cascate, centinaia di veli d’acqua che scendono con salti vertiginosi formando alla base piscine e vasche naturali, tra le quali spicca il Salto Angel con i suoi 980 m, la più alta della terra.
Ma la principale caratteristica morfologica della Gran Sabana, che ne fa un unicum assoluto, è costituita dalla presenza dei tepiu, rilievi grossomodo circolari di quarzite e arenaria dalle lisce pareti precipiti e la sommità piatta, che si elevano per centinaia e anche migliaia di metri isolati e distanti uno dall’altro dalla pianura sottostante. Ognuno di questi spettacolari picchi, isolati ad opera dell’erosione dal contesto geografico circostante da tempo immemore, forma delle vere e proprie isole ecologiche con peculiarità proprie e uniche. Le cime orizzontali, spesso avvolte dalle nuvole e ricoperte da intensa vegetazione, presentano infatti un clima assai più freddo e una maggiore piovosità rispetto alle vallate basali, tanto da consentire nel tempo lo sviluppo di un’evoluzione biologica indipendente per fauna e flora decisamente endemiche, ricche di orchidee e piante carnivore.
Sulle vette degli oltre cento tepui della Gran Sabana, molti dei quali ancora inesplorati, gli studiosi hanno già individuato duemila specie diverse di piante, per metà endemiche, il che ne fa una delle aree a più elevata biodiversità della terra. Una regione selvaggia ed oltremodo suggestiva, magistralmente descritta all’inizio del secolo scorso dal medico e scrittore scozzese Artur Conan Doyle, il padre di Sherlock Holmes, nel celebre romanzo “Mondo Perduto”, la cui fantasia popolò le cime dei tepui di dinosauri e mostri preistorici. Padroni quasi assoluti di questo Eden ambientale gli indios pemòn, una popolazione amazzonica pacifica ed egualitaria di 15 mila persone, unificata dalla lingua e dalle comuni origini, che fino a mezzo secolo fa viveva completamente fuori dal mondo e in armonia con la natura, gli uomini ricoperti da un semplice perizoma e le donne da un grembiule. Si sostentano con pesca, caccia, raccolta di piante e frutti spontanei e una primitiva agricoltura orticola, producono tessuti, ceramiche e oggetti in vimini, la loro dieta contempla yucca, manioca, cassava, patate e frutta, non disdegnando pipistrelli, insetti e formiche. Abitano in piccoli villaggi sui fiumi entro vaste capanne collettive, dormono su amache, sono monogami ed è il marito a trasferirsi presso la famiglia della moglie, spesso una cugina; salvo gli oggetti personali tutto è collettivo, le decisioni vengono assunte collegialmente e l’unica autorità riconosciuta, essendo animisti, è quella degli sciamani, ora affiancati dai missionari.
Dedicata ad esperti viaggiatori ben motivati una spedizione di 18 giorni completamente isolati nella foresta amazzonica in una delle regioni più incontaminate e remote della Gran Sabana venezuelana, utilizzando in assenza di strade gli unici mezzi possibili di spostamento: piccoli aerei e, soprattutto, canoe fluviali a motore; ma la presenza costante di rapide obbliga a frequenti trasbordi, con brevi camminate nella foresta. Obiettivi principali della spedizione la non difficile salita del maestoso Sarisarinama Tepui (800 m di dislivello) e il contatto con le diverse popolazioni indigene abitanti nel bacino dell’alto Caura, affluente dell’Orinoco. Il Sarisarinama, compreso nell’omonimo parco nazionale ai confini con il Brasile, è uno dei tepui più interessanti per biologi e geologi. La sua piatta vetta è infatti occupata da una densa foresta nebulosa, con alberi alti 20-25 m, riparo per rare specie animali e vegetali endemiche, dove sprofondano quattro enormi pozzi-doline scavati nella quarzite (il maggiore con una profondità di 314 m e un diametro di 352), con pareti ricoperte da concrezioni di gesso e opale. I giorni di navigazione fluviale, tra rumorose rapide e spettacolari cascate, lontre e delfini d’acqua dolce, porteranno invece in diversi villaggi indigeni, in particolare quelli di etnia Sanema e Yekuana, consentendo di scoprire molti aspetti affascinanti della loro vita quotidiana, dalla caccia alla preparazione dei pasti, dall’artigianato alla farmacopea naturale, fino ai riti sciamanici a base di misture allucinogene.