Testo di Anna Maria Arnesano e foto di Giulio Badini
Diverse fonti storiche, tra le quali l’autorevole Plinio il Vecchio, ci informano che gli antichi egiziani si procuravano gran parte dell’oro necessario alla loro opulenta civiltà nel Wawat, imprecisata località o regione nel deserto montuoso della Nubia sudanese situata genericamente tra il Nilo e il Mar Rosso. Peraltro la parola Nubia, che da sempre indica l’estrema regione settentrionale del Sudan, nella lingua degli antichi egizi significava oro (nbw). Gli Annali del faraone Thutmosi III, appartenente alla XVIII° dinastia del Nuovo Regno, confermano che in quel tempo – 1400 a.C. – dalle miniere di quarzo aurifero del Wawat venivano estratti fino a 776 chilogrammi all’anno del prezioso metallo. Di Berenice Pancrisia, la città tutta d’oro dei Tolomei, si favoleggiò per secoli, fino a farla entrare nella leggenda ed a dubitare della sua reale esistenza, anche perché si diceva che gli afrite, gli spiritelli dispettosi suoi gelosi custodi, l’avrebbero fatta sparire dagli occhi di quanti fossero mai riusciti a vederla. Una leggenda? Sicuramente si, ma come tutte le leggende forse con un pizzico di verità. L’oro si trova infatti frammisto al quarzo e probabilmente il riflesso prodotto da un’intera montagna di cristalli di quarzo riusciva in effetti ad abbagliare chi vi fosse arrivato, impedendone la visuale.
Berenice è stata localizzata soltanto nel 1989 da una spedizione italiana guidata dai fratelli varesini e esploratori sahariani Castiglioni, basandosi sulla mappa di un geografo arabo del IX° secolo: si trova nell’alveo del wadi Allaqi, una vallata a 500 chilometri ad est del Nilo poco sotto alla latitudine di Abu Simbel e appena a sud del confine sudanese, una regione montagnosa priva di strade e piste e in parte ancora inesplorata, popolata da rari pastori nomadi beja, gente diffidente e scontrosa che spesso non ha mai incontrato uomini bianchi. Sommarie ricerche hanno dimostrato che si trattava di un vasto insediamento capace di ospitare fino a diecimila abitanti, dominato e difeso da due imponenti roccaforti, con edifici costruiti con blocchi di granito e oltre un centinaio di miniere attivate. Le macine, i pestelli, i muri crollati, gli strumenti, i cocci sembrano essere stati abbandonati appena ieri; invece … Saranno gli scavi archeologici in corso a raccontarci la storia di Berenice, la città mineraria dell’oro dei faraoni, abitata a quell’epoca da diecimila persone. Oggi vi sopravvivono sparuti gruppi di beja, una delle più antiche etnie della Nubia, chiamati dai Tolomei mangiatori di serpenti, assai temuti un tempo per le improvvise scorrerie che effettuavano contro i ricchi insediamenti lungo il Nilo; dopo i saccheggi si rifugiavano nel deserto, di cui conoscevano tutti i meandri e i pozzi più nascosti, ed erano imprendibili.
Una spedizione esplorativa di 16 giorni in fuoristrada nel deserto nubiano permette di visitare Berenice e altri siti archeologici poco noti della Nubia. Dopo la visita del ricco museo nella capitale Khartoum, dove ammirare i reperti delle diverse civiltà che si sono susseguite per millenni nel territorio, e il colorato mercato nell’antica capitale Omdurman, l’itinerario tocca gli imponenti templi di Naga e Musawwarat, tra le cui rovine pascolano le capre, la città e la necropoli con le 40 aguzze piramidi di Meroe, antica capitale dell’omonimo regno che sopravvisse per secoli a quello egiziano, (oggi sito Unesco), il deserto del Bayuda con i suoi coni vulcanici, quindi attraverso il deserto orientale – una delle regioni meno battute di tutto il Sahara – raggiunge le montagne verso il Mar Rosso dove si trova Berenice.
Durante il percorso lungo wadi Allaqi facile incontrare moderni cercatori di pepite dotati di metal detector, artefici da alcuni anni di una moderna corsa all’oro, nonché nomadi beja che vivono di pastorizia in misere capanne, ma le cui donne sono ricoperte da monili d’oro. Importante, e novità assoluta, anche la visita al Jebel Magardi – una montagna dalla caratteristica forma a cuspide aguzza, dove di recente archeologi polacchi hanno scoperto suggestive incisioni rupestri preistoriche e siti neolitici, evidentemente ubicati lungo un’antica via commerciale tra il Mar Rosso e il Nilo, quando il Sahara era verde. Da qui si ritorna sul Nilo all’altezza della 6° cateratta, toccando curiosi crateri vulcanici ripieni di sabbia candida e di sfere di granito.