Testo di Cora Ebeling – Foto di Oliver Blum
La mattina, il controllore ci sveglia appena in tempo per vedere sorgere il sole dietro i pendii dell’Alto Atlante. Il colore rosso della terra e delle case lascia intuire la vicinanza del deserto. Attraversiamo l’estrema periferia di Marrakech fatta di baracche e capanne di fango, ma tutte con l’immancabile antenna satellitare sul tetto. Mi chiedo se la globalizzazione vuol dire questo, portare la tecnologia in ogni angolo della terra. Quando arriviamo alla stazione centrale è ancora presto, ma già si annuncia l’afa del giorno, qui il clima è molto più caldo e secco rispetto alla costa. Il tassista fatica a trovare il nostro Riad (così si chiamano gli alberghi nelle dimore storiche) nell’antico quartiere ebraico, a un certo punto ci fa scendere e dobbiamo fare l’ultimo pezzo a piedi dato che la parte antica della città non è accessibile alle macchine. Iniziamo la giornata con una colazione tipica sulla spettacolare terrazza del nostro albergo, dalla quale si possono ammirare le cime innevate dell’Alto Atlante e i nidi delle cicogne sulle mura del vicino palazzo reale.
Ci avventuriamo nel groviglio delle stradine della vicina medina che sembrano portare tutte alla piazza principale Djemaa el-Fna, la piazza dei decapitati, poiché nei secoli passati fu sede di esecuzioni capitali. Oggi è considerata il centro vitale della città storica, ma di giorno sotto il sole cuocente è ancora poco frequentata, ci dicono che inizia ad animarsi nel tardo pomeriggio. Cosi ci rinfreschiamo con una spremuta di arancia fatta all’istante (il termometro segna 34 gradi!) e ci dirigiamo verso il Dar Chérifa, la casa più vecchia della medina, che fu ristrutturata per prima quando negli anni novanta decisero di valorizzare il centro storico. Negli anni cinquanta, dopo l’indipendenza del Marocco, era stato abbandonato dagli abitanti, che preferirono andare ad abitare nelle case più moderne e funzionali in periferia con illuminazione stradale e canalizzazione. Oggi Marrakech attira turisti da tutto il mondo, anche grazie alle dimore storiche nella medina trasformate in strutture ricettive dopo essere state rimodernate lussuosamente. Il Dar Chérifa è diventato un caffè letterario e circolo culturale, dove si incontrano artisti e intellettuali del luogo. Sull’immancabile terrazza con vista ci ritempriamo con il consueto tè alla menta e una gustosa insalata marocchina, servita eccezionalmente da personale femminile.
Con nuove energie ci immergiamo in quel mare di colori, odori e rumori che solo un souk orientale può offrire e ci lasciamo trasportare dal fiume di gente, che ininterrottamente scorre su e giù per le strette vie. Purtroppo qui il turismo di massa sembra aver preso il sopravvento e la medina aver perso la sua autenticità. I bazar e i mercati, senza dubbio affascinanti e caratteristici, sembrano ormai una realtà artificiale ai fini turistici e commerciali. Verso sera torniamo alla piazza principale, che nel frattempo si è popolata di musicisti, cantastorie, incantatori di serpenti, tatuatori e quant’altro. Ristoratori ambulanti hanno allestito tavoli e banchi di legno, dove si possono degustare carne e pesce alla griglia insieme ad altri cibi tradizionali. L’offerta è vasta e il posto affollato di turisti, a un certo punto sembra di stare all’Oktoberfest invece che in Marocco, con la sola differenza che non viene servita la birra.
Eppure lo spazio culturale di Djemaa el-Fna è stato riconosciuto nel 2008 dall’Unesco come patrimonio orale e immateriale dell’umanità. Gli artisti locali si sentirono minacciati dal rapido sviluppo economico e chiesero l’inserimento nella lista per proteggere le loro tradizioni, la cultura e i luoghi storici. Il giorno seguente decidiamo di lasciare da parte il lato folcloristico di Marrakech e di concentrarci più su quello culturale. Le imponenti mura del palazzo reale el-Badi nella Kasbah, la grande moschea della Koutoubia, edificata nel XII secolo e tuttora simbolo della città, le tombe dei sultani Saadiani risalenti al XVI secolo ma riscoperti solo nel 1917 e la vicina porta più antica della città Bab Agnou, così come la scuola coranica Medersa Ben Youssouf accanto all’omonima moschea, un capolavoro dell’arte orientale del XIV secolo con maioliche e intarsi preziosi, sono le tappe della nostra visita. In Marocco le moschee non sono accessibili ai non musulmani e così ci dobbiamo accontentare, per modo di dire, della scuola coranica e i giardini antistanti alla moschea principale, che comunque ripagano in pieno il negato ingresso ai luoghi di culto.
La sera arriviamo di nuovo sulla piazza Djemaa el-Fna, sempre affollatissima, e questa volta ci rifugiamo sulla terrazza panoramica di uno dei tanti ristoranti che circondano la piazza, dove abbiamo la fortuna di assistere a un tramonto indimenticabile, accompagnato dal canto del Muezzin che risuona dai vicini minareti. Un momento magico di contemplazione, che fa dimenticare la schiera di turisti attorno, desiderosi di immortalare il tramonto con iPhone, tablets o fotocamere, e ricorda il nome antico della città, ovvero Mur-Akush, terra di dio. L’Oriente è sempre l’Oriente, e certe impressioni ed esperienze rimangono sostenibili, al contrario del turismo che ha invaso questa città.
Come arrivare:
Marrakech ha un aeroporto internazionale ed è raggiungibile anche con il treno (www.oncf.ma) o con gli autobus delle linee nazionali Supratours o CTM venendo dalle più grandi città del Marocco, altrimenti in autostrada da Casablanca o Agadir.
La Trilogia continua con l’articolo su Essaouira al link: http://sviluppo.dmxlab.it/turismo/speciale-marocco-trilogia-di-un-viaggio-nel-regno-occidentale
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