Testo e Foto di Giuseppe Rivalta
Durante un viaggio organizzato e guidato personalmente da Maurizio Levi con l’appoggio di Giulio Badini, speleologo bolognese di vecchia data, abbiamo visitato la Djara Region non lontana dalla depressione di Baharia, dove si apre una delle grotte più affascinati del Sahara: la Djara Cave. La grotta fu scoperta nel 1887 dall’esploratore tedesco Gerhard Rholf. Dopo un campo tra le dune, al mattino successivo, di buon ora, siamo davanti alla cavità. E’ sempre emozionante infilarsi in una grotta e particolarmente in un ambiente come quello del Sahara. Attraverso un’ entrata bassa, si scende su una lunga conoide di soffice sabbia che il vento ha accumulato. Ora si è in una grande sala sub ellittica (lunga una quarantina di metri) dalla cui volta pendono grandi gruppi stalattitici. Sono evidenti i segni che testimoniano la presenza di antichi livelli dell’acqua. Questo sistema carsico ebbe il suo maggior sviluppo nell’Olocene, alcuni milioni di anni fa, quando dominava un clima umido e ricco di piogge. In questa nostra visita non possiamo non soffermarci davanti ad alcune testimonianze d’arte rupestre lasciate da uomini neolitici, tra l’8.000 ed il 7.000 a.C. . In tarda mattinata ripartiamo verso un’altra meta speleologica.
Dopo una decina di chilometri, in un ambiente piatto e bianchissimo, all’improvviso ci fermiamo con i fuoristrada, davanti ad un piccolo foro che si apre. nel suolo roccioso: è una grotta poco nota. Ci prepariamo a scendere dopo aver fatto srotolare all’interno, una scaletta in cavo d’acciaio agganciata al telaio di una Toyota. Assicurato ad una corda tenuta dall’amico e collega Badini comincio a scendere. L’apertura è larga quanto le mie spalle. I primi tre metri sono costituiti da un pozzo cilindrico. Controllo che la scaletta si sia ben srotolata perché da un certo punto in poi si scende nel vuoto per circa quattro metri. La volta, infatti, si allarga a campana. Entro così in una grande sala, di dimensioni minori rispetto alla Djara Cave, tuttavia molto simile per la presenza di concrezioni. Affondo gli scarponi nella conoide di sabbia e sono arrivato. Mi muovo con attenzione perché non vorrei trovarmi di fronte a qualche ospite indesiderato come vipere o scorpioni. Vicino ai miei scarponi, invece, raccolgo i resti di due Mantidi religiose del deserto che sono cadute all’interno e che non sono più state in grado di risalire.
Scende mia moglie Carla, anche lei, come me, speleologa. Entrambi, con Badini, facciamo parte del Gruppo Speleologico Bolognese, associazione che, proprio quest’anno, compie 80 anni : è un bel modo di festeggiare il nostro sodalizio! Effettuiamo un rilievo speditivo. Le dimensioni si aggirano sui 14 metri per 17 e la volta si alza fino a dieci metri, ma in reatà la sabbia nasconde il vero strato roccioso del fondo. Troviamo anche due topolini mummificati (il tipico topo delle sabbie) anche questi caduti dall’alto. L’ umidità, per la nostra presenza si è sensibilmente alzata. Scende poi anche Maurizio Levi ed un autista curioso di sfruttare questa opportunità che gli presentiamo. Su una concrezione troviamo una scatola in metallo che contiene un quadernetto su cui, anni fa, dei francesi e, nel 2003, degli italiani, lasciarono le loro firme. Anche noi mettiamo le nostre a ricordo di questa esplorazione sahariana. Si risale all’esterno sotto un sole accecante ed in breve eccoci di nuovo in macchina verso nuove e sempre emozionanti destinazioni.
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