Testo di Anna Maria Arnesano e Foto di Giulio Badini
Per lungo tempo l’Asia centrale, composta oggi dalle repubbliche autonome del Kazakistan, del Kirghizistan, del Tagikistan, del Turkmenistan e dell’Uzbekistan, ha rappresentato uno spazio vuoto sulle carte geografiche e ancora attualmente costituisce per molti un luogo sconosciuto, fuori dalle rotte commerciali e turistiche, una regione enorme e sperduta situata chissà dove. Eppure queste terre, comprese tra il Mar Caspio ad occidente e la Cina ad oriente, la Russia a nord, l’Iran, l’Afganistan e il Pakistan a sud ed estese quanto tredici volte l’Italia (ma con appena 59 milioni di abitanti), hanno assistito nel tempo al sorgere di imperi potenti quanto effimeri quali quelli di Alessandro Magno, Gengis Khan, Tamerlano e poi dell’Unione Sovietica, al fiorire di città opulente maestre di cultura e di arte quali le splendide Samarcanda, Bukhara e Khiva, nonché al passaggio millenario dei mercanti e delle carovane in transito lungo la Via della Seta per collegare l’Estremo Oriente al Mediterraneo, in una sorta di globalizzazione ante litteram per merci e conoscenze. E nonostante l’apparente povertà ha sempre suscitato la cupidigia da parecchi popoli vicini e lontani, che l’ hanno invasa e dominata: mongoli, turchi e cinesi da est, greci, persiani e arabi da ovest, solo per citare i più famosi, e ciascuno vi ha portato e lasciato qualcosa: zoroastrismo, islam, buddismo, manicheismo e cristianesimo nestoriano. E’ stata anche oggetto in un recente passato di interesse da parte dell’impero britannico, presente a sud, e di quello zarista da nord, che si sono misurati in una delle prime guerre diplomatiche della storia, sostituiti oggi da Usa e Russia per le loro consistenti ricchezze minerarie.
Questa regione lontana dal mare, dal clima continentale torrido d’estate e gelido in inverno, ad ovest si presenta con enormi steppe semidesertiche, dove la principale risorsa è rappresentata dall’erba e quindi dall’allevamento (cavalli, pecore, capre e cammelli), mentre a sud-est si eleva nelle più alte montagne della terra – Pamir, Hindu Kush, Tian Shan e Himalaya – con cime di oltre 7.000 m di altitudine e passi ad oltre 4.000; i pascoli d’alta quota, disseminati di laghi smeraldini, consentono la vita soltanto ad animali particolarmente resistenti, come la pecora di Marco Polo dalle enormi corna a tortiglione, lo yak e il mitico yeti, l’abominevole uomo delle nevi, mentre l’agricoltura rimane relegata alle vallate sedimentarie dei grandi fiumi. Una costante dell’Asia Centrale è sempre stato il perenne conflitto tra popolazioni nomadi, pastori poveri spesso costretti per sopravvivere a compiere razzie a scapito dei sedentari, obbligati invece a vivere entro centri fortificati, dai quali nacquero poi città imponenti e imperi potenti. Quando, due secoli fa, l’impero russo cominciò ad espandersi a sud, la regione era come oggi popolata da un vero caleidoscopio di gruppi etnici: kazaki, kirghizi, tagiki, uzbeki e turkmeni, ognuno con caratteristiche proprie ma che avevano in comune le lingue – tutte di ceppo turco – tanto da potersi intendere tra di loro, la religione musulmana e la scrittura araba. E in qualche modo si integravano anche nell’economia: i kirghisi pastori, gli uzbeki agricoltori, i tagiki artigiani e commercianti. Il retaggio sovietico, sopravvissuto al crollo dell’Urss e all’indipendenza ottenuta nel 1991, oltre a lasciare povertà, tensioni e incertezze, ha contribuito non poco a mischiare le carte, mescolando etnie ed economie, con l’aggiunta di una nuova etnia egemone, quella russa..
Al viaggiatore colto e curioso che sceglie come meta l’Asia centrale nonostante le carenze ricettive, conviene suggerire di abbinare la visita di due repubbliche – Kirghizistan e Tagikistan – per mischiare sapientemente in un unico viaggio paesaggi e natura, storia, arte ed etnie diverse. Il Kirghizistan, grande 2/3 dell’Italia, è una nazione totalmente montuosa al centro di un groviglio di catene che si spingono oltre i 7.000 m, abitato da pastori nomadi che vivono nelle yurte sugli alti pascoli con le loro mandrie di pecore e yak, principale risorsa del paese. Una terra ideale per il trekking d’alta montagna, tra cime, ghiacciai, pascoli fioriti e laghi glaciali. Il Tagikistan, mosaico etnico di clan, lingue e identità diverse, è uno stato montagnoso di pastori nomadi (grande metà dell’Italia), dominato dall’imponente mole del Pamir, non a caso chiamato il tetto del mondo, con due cime superiori ai 7.000 m; la Pamir Highway, lunga 700 km, costituisce uno dei più spettacolari tracciati stradali del continente. Offre pascoli d’alta quota con stupendi laghi glaciali, antiche fortezze e monumenti buddisti, con nutrite sacche di religione ismailita, seguaci dell’Aga Khan.