Sull’Altopiano Tibetano, popoli di etnie diverse, Han, tibetana e mongola convivono in pace e tutelano insieme il grande lago Qinghai. Nella più vasta provincia di Qinghai, oltre all’etnia Han, vivono più di 30 minoranze etniche tra cui i tibetani, gli Hui, i Mongoli, i Tu, i Sala, la maggioranza delle quali professa il Buddismo o l’Islamismo.
Sia nelle città che nelle campagne del Qinghai si notano spesso templi lamaisti e moschee musulmane. A 25 km. da Xining, capoluogo della provincia del Qinghai, si trova il tempio di Taersi, famoso centro sacro del buddismo tibetano e fulcro delle attività buddiste della parte nord-occidentale del Paese. Gli edifici del tempio si integrano perfettamente con il contesto naturale; si tratta di un magnifico complesso antico, non restaurato, un interessante amalgama tra lo stile cinese Han e quello tibetano.
Qui la pace ed il raccoglimento regnano sovrani, isolati dal resto del mondo, come si conviene ad un centro della sacralità. Se Taersi è il tempio più grande e antico, quello di Kumbum è di sicuro il più importante monastero lamaista in Cina, costruito nel luogo di nascita di Tsongkhapa, il grande riformatore del buddismo tibetano e fondatore della Setta Gelugpa (scuola dei Berretti Gialli).
Il monastero in realtà si snoda in varie strutture sparse nel villaggio, formato da case e santuari dai tetti in tegole di bronzo dorato, meta di affollatissimi pellegrinaggi. Nel monastero si può visitare il Salone delle sculture di burro di Yak, una sorta di caprone selvatico che qui in Tibet è considerato un dono di Budda.
In Tibet, possedere uno yak significa assicurarsi latte nutriente, lana per vestirsi ma anche un indispensabile aiuto nell’aratura dei campi. Una sorta di animale sacro e sacrificale per il quale è doveroso ringraziare Budda. Nei templi lamaisti, dove l’atmosfera è stracarica di immagini del Budda che ha diverse sembianze a seconda del suo ruolo religioso, di lembi di stoffa colorata dove ognuno scrive una preghiera, di tappeti arrotolati o distesi, di reliquiari, di candele e lumi dalla luce fioca, di manufatti di metallo o di stoffa che pendono da ogni parte del soffitto, appoggiati alle pareti, ai quadri, alle statue, un odore acre ti imprigiona in una sorta di ineluttabile coinvolgimento.
E’ il burro di yak. Modellato in piccoli o grandi coni muniti di stoppino, allineati dovunque ci sia rimasto un posto libero, questo burro che brucia emana un odore così penetrante da rimanerti addosso e nelle narici anche dopo l’uscita dal tempio, per lungo tempo. Tant’è, per i lamaisti è un’offerta di ringraziamento, e noi la rispettiamo.
Come rispettiamo e ammiriamo l’aria di spiritualità diffusa che si respira in questi villaggi. Con molta naturalezza si vedono camminare per le vie monaci buddisti avvolti nelle tipiche tuniche rosse, anche se vivono ritirati in piccole capanne sulla montagna, quasi un monastero diffuso. Si riuniscono giornalmente nel tempio per gli studi, la meditazione o per gli incontri religiosi.
Per il resto, vivono in comunità con gli altri cittadini. In qualche modo, lama ci si nasce, visto che fin da bambini la famiglia li designa alla missione religiosa. Essi studiano, come per una sorta di seminario, e poi, da adulti, si confermano monaci buddisti. Se qualcuno dovesse avere un ripensamento con gli anni, può dismettere l’abito rosso, ma deve pagare una sorta di “offerta-penale” al monastero.
La Capitale Xining
Questa densa atmosfera mistica ovviamente si stempera molto nelle grandi città. O meglio a Xining, capoluogo della Provincia di Qinghai e praticamente l’unico grande centro metropolitano. Sorprendentemente, Xining è una città moderna, fatta quasi esclusivamente di grattacieli, in alcune zone anche di singolari firme architettoniche.
L’industria del ferro e dell’acciaio nei dintorni di Xining e l’industria dell’estrazione del petrolio e del gas dal Bacino di Chaidamu, costituiscono settori economici di rilievo che offrono a questa città un soddisfacente livello di benessere. Anche se Xining, dal punto di vista turistico, ha ancora grandi passi da fare.
La bellezza dell’Altopiano Tibetano, che invita viaggiatori ed amanti della natura ad arrivare fino a questa terra così lontana, merita una maggiore “apertura” al turismo. Gli alberghi a 5 stelle ci sono, e sono anche meritevoli e pieni di comfort, tuttavia anche in queste strutture si parla pochissimo l’inglese.
Quasi per niente. Ancora meno nei numerosissimi ristoranti (ce n’è uno ad ogni passo), frequentati quasi esclusivamente da cinesi. Non essendo avvezzi ai turisti non sentono la necessità di imparare almeno l’inglese, ormai passepartout mondiale, o di alleviare qualche piccola difficoltà come ad esempio predisporre delle comuni posate per chi, come noi, diventa completamente inetto di fronte a quelle pur semplicissime bacchette!
Testo di Teresa Carrubba