Testo di Anna Maria Arnesano e Foto di Giulio Badini
Il Laos, incastonato tra Vietnam, Cina Meridionale (Yunnan), Birmania, Thailandia e Cambogia, rappresenta il più piccolo, il più arretrato, il meno abitato e anche il meno conosciuto e frequentato tra gli stati della penisola indocinese. Ma al tempo stesso anche il più autentico e incontaminato, il posto giusto dove cercare la felicità spirituale del Nirvana buddista, come predicano i monaci dalle tuniche zafferano. Il giornalista e scrittore orientalista Tiziano Terzani, affascinato dalla dolcezza d’animo dei suoi abitanti, scriveva: “Il Laos non è un posto, ma uno stato d’animo, uno dei luoghi più romantici e quieti dell’Asia, uno degli ultimi rifugi del vecchio fascino d’Oriente”. E i Francesi, buoni conoscitori dell’Indocina per i loro trascorsi coloniali, dicevano che i Vietnamiti piantano il riso, i Cambogiani li stanno a guardare e i Laotiani ascoltano il riso mentre cresce.
Un paese e un popolo quindi unici, assai diversi dai loro vicini, entrambi sospesi nel tempo. più piccolo dell’Italia e senza sbocchi al mare, con la più bassa densità del Sud-Est asiatico, il Laos si presenta con una serie di altopiani a 1.500-2.000 metri di altitudine circondati da impervie montagne alte fino a 2.800 m e profonde vallate ricoperte da foreste tropicali tanto fitte da risultare spesso inaccessibili, tali da giustificare appieno la definizione di cuore verde dell’Asia. La geografia e il clima tropicale monsonico continentale, con intense piogge estive, ne fanno un paese povero e arretrato, privo di ferrovie, strade e industrie, basato su un’agricoltura primitiva (riso, mais, tè e caffè) spesso dipendente dai capricci meteorologici per siccità e inondazioni, soggetto a rivalità etniche e a disastrose ingerenze straniere che non hanno mai consentito la formazione di un solido e duraturo stato unitario. Ma anche un paese pacifico, ingentilito dall’architettura e dalla filosofia buddista, intatto e incontaminato, dove la civiltà consumistica stenta a penetrare, in grado di tutelare fino ad oggi i molteplici retaggi materiali e spirituali del passato, così come gli usi e i costumi di una miriade di popolazioni tribali, asserragliate con i loro tradizionali stili di vita tra le erte montagne del nord.
Una delle caratteristiche e delle grandi attrattive del Laos risulta infatti costituita dalla varietà etnica della sua popolazione. Se l’ 80 % dei 6 milioni di laotiani sono di stirpe Thai-Lao, parlano il lao e sono buddisti, nei villaggi tra le montagne del Nord – spesso accessibili solo con giorni di navigazione e di cammino su sentieri impervi – vivono ben 130 gruppi etnici che parlano lingue e dialetti diversi e sono animisti. L’isolamento storico ha consentito a queste piccole comunità presiedute da sciamani di mantenere immutati fino ad oggi i loro vetusti stili di vita, racchiusi come sono in sé stessi e con scarsi contatti con l’esterno. Vivono con una misera economia di sussistenza praticando un’agricoltura nomade, che li costringe ogni 3-4 anni a spostarsi per depauperamento del terreno, di caccia e allevando suini, abitano in capanne di legno e bambù su palafitte e spesso le donne esibiscono abiti vistosi e sgargianti, riccamente decorati, con coreografici copricapi. Gli Akha, ad esempio, sono di stirpe sino-tibeto-birmana, sono molto superstiziosi, pieni di tabù e debbono rispettare un codice di comportamento che regola ogni atto della vita. Girano per le montagne con gerle sulle spalle, fumano oppio, le donne partoriscono da sole nella foresta, abbandonando il figlio se presenta la minima malformazione, praticano il culto degli antenati con altari dedicati in ogni capanna, e non disdegnano di mangiare larve di insetti e carne di cane.
Le donne usano comunemente abiti e copricapi sontuosi, adorni di perle, pietre preziose e monete d’oro e argento, degni di figurare in un museo. Queste popolazioni pacifiche e ospitali vivono in luoghi tanto remoti e poco conosciuti che di recente vi sono state scoperte due nuove specie animali; non minuscoli insetti ma mammiferi di grossa taglia finora ignoti alla scienza: il soala, un’antilope dalle lunga corna e il muntjak, un cervo abbaiatore. Le loro foreste sono abitate da elefanti, tigri, leopardi, langur, gibboni e scimmie.