LA SCOPERTA DEL QUINTO ELEMENTO
di Silvio Mitis
Finora abbiamo viaggiato in un paesaggio incredibile segnato da fuoco e terra, acqua e aria, quest’isola è una vera danza degli elementi. Ci resta da scoprire il quinto elemento di Lanzarote, quello umano.
Chi ha costruito i Jameos de Agua, il Jardin de Cactus, il Mirador del Rio come le poetiche Juguetes del Viento? Chi ha espresso al meglio l’identità dell’isola e ha donato ai suoi stessi abitanti consapevolezza ambientale e un amore fortissimo per le proprie origini? Chi ha celebrato le vite e i mestieri più semplici e tutti i paesaggi canari grazie al Monumento del Campesino o alla galleria di dipinti ancora conservati nel Castillo San Jorge? Chi può essere ricordato come una specie di Mirò locale? L’artista locale Cesàr Manrique, così poliedrico e visionario che ha plasmato con la sua anima tutta la vita dell’isola. Nella casa-museo della Fundaciòn si possono scoprire anche i suoi quadri, le sue sculture, i suoi scritti, tutte le forme di quella che è stata chiamata “Land Art” per la sua incredibile capacità di legarsi al mondo della natura. L’ultimo dono di Manrique è stato l’icona del diavoletto del Timanfaya, simbolo di fecondità, dei vulcani e delle danze ancora ballate nel Carnevale delle Canarie.
Ma anche altri importanti esponenti della cultura europea hanno raccontato con grande passione tutti gli elementi di Lanzarote, cominciamo dall’ultimo, il più eretico, il più irriverente: “La strada di Teguise perfettamente rettilinea, si allungava in mezzo a un deserto di pietre rosse, nere e ocra. Per quasi un chilometro davanti a noi si allargava una distesa di rocce nere e aguzze; non c’era niente di vivo, né una pianta né un insetto, niente. Le uniche alture erano, in lontananza, quelle dei vulcani: la loro presenza massiccia aveva qualcosa di stranamente rassicurante. La strada era deserta, e noi procedevamo in un silenzio assoluto. Sembrava di essere in un western metafisico”, scrive Houellebecq nel romanzo “Lanzarote”, che nel solito stile provocatore e audace del romanziere e saggista francese racconta il forte bisogno di fuga dal quotidiano, di ricerca di un luogo spiritale dove dedicarsi al passatempo preferito: il sesso di gruppo sotto il vulcano, sulla terra nuda e brulla di paesaggi marziani. E’ la possibilità di un’isola, il perdersi nelle sue particelle elementari – guarda caso questi sono i titoli di due suoi romanzi successivi – che permette all’uomo moderno di vivere un’avventura catartica e di salvarsi così da un mondo alienato.
Il tributo finale al racconto di Lanzarote, alle intense emozioni e nostalgie che provoca, avviene però nella campagna di Tìas, nella “Casa fatta di libri” di Josè Saramago, il premio Nobel portoghese che scelse l’isola come luogo di esilio volontario negli ultimi venti anni della sua vita. Il vecchio ormai rugoso e chino portava i suoi grandi occhiali e i suoi abiti neri a percorrere volentieri ogni sentiero di Lanzarote, sotto una luce calda e forte, verso quei vulcani addormentati e malinconici, depositari di storie segrete. E li abbracciava, grato, in un incontro epico, lui che più di tutto preferiva la terra e la pietra. Questa la sua testimonianza dolce e poetica: “Lanzarote anche quando ci sembra inquietante, minacciosa, mostra una certa aria di dolcezza femminile…la stessa che, malgrado tutto, avrebbe avuto Lady Macbeth mentre dormiva”.
E ancora: “Il piacere profondo, ineffabile, che è camminare in questi campi deserti e spazzati dal vento, risalire un pendio difficile e guardare dall’alto il paesaggio nero, scorticato, togliersi la camicia per sentire direttamente sulla pelle l’agitarsi furioso dell’aria, e poi capire che non si può fare nient’altro, l’erba secca, rasente al suolo, freme, le nuvole sfiorano per un attimo le cime dei monti e si allontanano verso il mare, e lo spirito entra in una specie di trance, cresce, si dilata, manca poco che scoppi di felicità. Che altro resta, allora, se non piangere?”. (“Quaderni di Lanzarote”)
E’ esagerato dire che questo pezzo di luna nel mare almeno un po’ si deve meritare?