Di Mariella Morosi
Le Langhe e il Roero sono da sempre i territori dell’arte e del gusto e insieme sono l’area del Piemonte con la più alta concentrazione di beni Patrimonio Unesco. Ma sono anche meta dei gourmet attratti dai grandi vini, dai tartufi e dagli altri prodotti di questa terra felice tra castelli, vigneti, frutteti e boschi da cui emergono le aguzze “rocche” calcaree. Ma più che di vino, l’eccellenza più nota, da apprezzare è la sua cultura in questi paesaggi che l’Unesco ha inserito nella Lista World Heritage, straordinari esempi di interazione dell’uomo con il suo ambiente naturale. Grazie ad una lunga e costante evoluzione delle tecniche agronomiche qui si è realizzato il miglior adattamento possibile dei vitigni alle caratteristiche del suolo e del clima. E’ un’eccezionale testimonianza della tradizione storica della viticoltura, dei processi di vinificazione, di un contesto sociale e rurale e di un tessuto economico basati sulle risorse del territorio. L’iscrizione delle Langhe e del Roero nel Patrimonio “culturale” e non in quello “paesaggistico” è il risultato del riconoscimento di questo legame stretto della sua gente con l’ambiente , riconoscendo ai vignaioli la funzione di custodi del paesaggio. Se le colline delle Langhe appaiono rigate di filari all’infinito, il paesaggio del Roero, alla sinistra del fiume Tanaro, è diverso: ai vigneti si alternano boschi e frutteti e maestosi sono i castelli medievali che parlano di una storia di nobili famiglie e di contese che hanno attraversato la storia del Piemonte.
Sono state terre ambite, frazionate in tanti feudi sempre in lotta tra loro, come dimostra la presenza di tanti castelli e fortificazioni. Se il nome dei Savoia è dovunque, è stata la famiglia astigiana dei Roero, che dal 1372 governò il feudo, a dare il nome al territorio. Oggi il Roero ha 23 comuni, a metà strada tra Asti e Cuneo, e rivendica la sua identità alla pari con le più note Langhe, promuovendo con l’Enoteca Regionale di Canale una maggiore conoscenza dei suoi vini e della sua raffinata tradizione gastronomica. Imprescindibile è tuttavia la promozione della bellezza di un ambiente naturale incontaminato, tra colline verdissime dove le “rocche”, giganteschi spuntoni giallo ocra appaiono improvvisamente nel folto dei boschi. Il richiamo dell’arte è invece affidato ai suoi castelli, giganti che svettano sui borghi riproponendosi in tutta la propria vitalità con l’apertura al pubblico, come sedi di ristoranti e resort o come poli culturali, con un ulteriore valore aggiunto. Nel Castello di Monticello abitano ancora i conti Roero ma la gran parte è aperta alle visite con testimonianze ed arredi d’epoca. Fu fatto costruire dai Vescovi di Asti per difendere i confini del contado, dopo la devastante calata dei Saraceni su Alba nel 920 d.C. Distrutto da un assedio nel 1187, fu ricostruito nel 1348, quando i signori divennero i Malabaila. Nel 1372, però, i Monticellesi, esasperati dalle loro angherie, chiesero aiuto ai Roero che, scacciati i proprietari, ne presero possesso. Radicali restauri, come la sistemazione del ponte levatoio e la costruzione di uno scalone in pietra, vennero compiuti nel 1787 in occasione del matrimonio di Francesco Gennaro, vicerè di Sardegna, con Paola del Carretto di Gorzegno.
I loro stemmi intrecciati figurano dovunque, sui portali e negli interni, insieme ad una straordinaria collezioni dei ritratti delle generazioni successive. Solo ai maschi primogeniti veniva concesso di esporre i ritratti delle consorti. Xaverio Kurten già autore delle trasformazioni del Parco Reale di Racconigi, disegnò il parco all’inglese che si estende tutt’attorno alla collina. Nella foresteria, poco più sotto, c’è un resort e il ristorante curato dalla chef Loredana De Stefani. Bellissimo e tra i più visitati è anche il castello di Govone, residenza dei Savoia fino al 1870, anch’esso patrimonio Unesco. Stupisce il monumentale scalone d’onore a due rampe ricco di fregi di marmo che una volta ornavano una fontana della Reggia di Venaria. L’atrio, decorato con la tecnica del trompe-l’oleil dà l’illusione che i personaggi raffigurati sul tema mitologico di Niobe siano davvero statue. Magnifiche le sale cinesi, tappezzate di carta di riso del ‘700 con scene sulla raccolta del thè e della fabbricazione delle porcellane. Ci abitò per un periodo Jean Jaques Rousseau. Anche qui c’è un affermato ristorante, “Le scuderie del Castello” condotto dallo chef Davide Odore. Un tour dei castelli può proseguite con quello seicentesco di Magliano Alfieri costruito su una fortezza medioevale. Lo volle per sé il nobile Catalano Alfieri al servizio di Casa Savoia come addetto alla riscossione dei tributi. Dopo vari passaggi di proprietà oggi appartiene al comune di Magliano ed ospita il Museo di Arti e Tradizioni popolari, il Museo del Gesso e quello interattivo del Paesaggio con percorsi per una migliore fruizione delle bellezze locali.
Ma anche questo maniero è una destinazione gourmet con il ristorante “Alla corte degli Alfieri” gestito dallo chef Stefano Paganini. Da ammirare una rara collezione delle famose grappe di Romano Levi, dalle etichette disegnate a mano, ambitissime dai collezionisti. Il castello di Guarene ospita un resort di gran lusso, oltre ad essere sede di vari eventi anche istituzionali. Molto apprezzata la cucina del giovane chef Gabriele Boffa. Anche questo imponente castello fu nei secoli oggetto di contese, fino alla sua distruzione. Nel ‘700 fu ricostruito con impianto classicista dall’architetto Juvarra su disegno del committente, il conte Giacinto Roero, signore di Guarene. Superbo il giardino all’italiana. Numerosi e celebrati sono i ristoranti delle Langhe che offrono piatti di tradizione della cucina albese a base di carne dei bovini di razza fassona che qui da sempre si mangia cruda, battuta al coltello per apprezzarne la finezza. Apprezzarissime sono le paste fresche come i tajarin (solo farina e anche 30 rossi d’uovo per kg), i plin ripieni di cacciagione (chiamati così perchè chiusi con un pizzico) e anticamente serviti sconditi, su un semplice tovagliolo di lino. I tartufi, insieme al vino, sono sempre il tema enogastronomico centrale. Da gustare anche il vitello tonnato, l’insalata russa, la salsiccia di Bra, il tonno di coniglio, il fritto misto alla piemontese, le acciughe al bagnet rosso o verde Ma al Roero, ricco di frutteti, si amplia l’offerta, Qui –e solo qui- nasce la pera Madernassa, protetta da un consorzio di tutela. Ricca di minerali e con poche calorie, con il suo particolare sapore arricchisce piatti ed è alla base di squisite torte. Così come a Canale una succosissima pesca è alla base di vari dolci con cui la storica pasticceria Sacchero tenta i visitatori. All’interno di un edificio storico della città c’è l’Enoteca Regionale del Roero, punto di vendita al pubblico di Docg e Doc della zona del Roero e ufficio Turistico. A guidarla è Pierpaolo Guelfo con la mission di promuovere la conoscenza delle eccellenze locali strettamente legate alla tradizione territoriale.
“Langhe e Roero insieme possono fare squadra – ha detto Guelfo presentanto il nuovo sito www.roeroturismo.it– e ciò che conta è l’entusiasmo, la passione condivisa. La qualità oggi non è più un vantaggio competitivo ma un obbligo”. Obiettivo questo condiviso da Mauro Carbone,direttore dell’Ente del Turismo di Alba. “Tutti dobbiamo lavorare insieme – ha detto- con un progetto di lungo periodo perchè i visitatori ci scelgono con aspettative sempre più alte e dobbiamo saperli ricevere”. All’Enoteca Regionale del Roero è possibile degustare un calice di vino in una selezionata proposta settimanale mentre al primo piano c’è il “Ristorante all’Enoteca” di Davide e Ivana Palluda (una Stella Michelin) che impiegano nelle loro creazioni materie prima locali rivisitate secondo fantasia e creatività. Nel dehor del giardino, per una sosta breve ma rilassante, c’è anche “L’Osteria dell’Enoteca” con piatti gustosi e prezzi convenienti. Interessante visitare le cantine, unica quella della Cascina Chicco di Canale, con infinite gallerie sotterranee, o salire sulle colline per vedere gli ciabot, piccole costruzioni rurali, capanni per attrezzi da cui si potevano controllare i vigneti. Tra i più interessanti quello del viticoltore Giovanni Negro, sulla collina di San Giorgio a Monteu Roero. Impressionante vedere come nel tempo si sono inflitrate nella pietra le radici e i rami di un fico secolare, che continua a dare dolcissimi frutti. La natura generosa permette anche di osservare un castagno di mille anni, il più antico d’Europa.
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