Testo e foto di Teresa Carrubba
La malìa dell’Egitto, quella che trasuda dalle ieratiche linee delle piramidi, dal profondo enigma delle sfingi, dalla gigantesca sacralità dei templi, dagli arcani millenari, dai segreti imperturbabili del Mar Rosso e, perché no?, anche dall’emblematico caos del Cairo, si completa e si accresce nel mistero dei suoi deserti. Vivere il deserto dà un piacere esoterico, inteso nella sua accezione più radicale e pura, quella che deriva dal greco Esoterikos, cioè Interiore. Il deserto, nel suo pienissimo Nulla, ti costringe a misurare la modestia dell’uomo fisico sovrastato dalla maestosità della Natura ma, paradossalmente, anche la grandezza di ciò che è nascosto dentro se stessi, la parte più profonda e autentica dell’essere, in grado di guardare ed ascoltare tanta bellezza. E’ questa la magia del deserto. Ma è anche molto altro. E’ una sfida continua contro l’incognito, l’ansia di ciò che ti aspetta oltre la duna quando la ripida salita in velocità ti attanaglia la gola e diventa adrenalina pura per poi placarsi in uno stupore che attraverso gli occhi dà gioia al cuore. Il deserto. Può essere anche un nemico, una trappola, un labirinto senza uscita se il buonsenso viene meno e ci si avventura da soli. Quello nel deserto non può essere un viaggio solitario, è saggio e indispensabile affidarsi ai tuareg. Sono loro i padroni del deserto, sono loro ad avere quel quid necessario traducibile con intuito, esperienza, sicurezza, orientamento, che nessun gps può garantire. A dispetto della volubilità del deserto. Basta infatti una tempesta di sabbia a ridisegnare tutto, le dune si scompongono e si ricostruiscono da un’altra parte con nuove impeccabili e artistiche volute.
Il nostro è un viaggio nel Sahara egiziano, nei cosiddetti deserti occidentali, diversissimi tra loro per struttura geologica e per effetto scenografico. A poco più di un’ora dal Cairo, ci inoltriamo nel deserto disseminato da concrezioni di basalto che culminano nel Jebel Qatrani, eretto austero sulla depressione di El Fayoum, dove un braccio del Nilo alimenta il lago Qarun. Singolari stratificazioni di roccia restituiscono fossili marini e terresti risalenti a 30-40 milioni di anni, facendo del Jebel Qatrani il maggiore giacimento di fossili al mondo. Una miriade di conchiglie, una foresta con tronchi d’albero immortalati nella storia dalla pietrificazione, adagiati sulla terra o asserviti al lastricato di una strada romana. Ma, ancor più nel vicino Wadi Heitan, Patrimonio Unesco dell’Umanità, dove il mare si è ritratto lasciando ai posteri il più ricco sito di scheletri fossili di balene, datati a 40 milioni di anni fa, epoca in cui i cetacei si trasformarono da mammiferi terrestri a marini. Anche il lago si è ritratto, allontanando da sé la città tolemaica Dimeh Es Sebua, la cui bellezza si ricostruisce dai ruderi oggi visibili lungo quella che fu la via carovaniera nel deserto, che arriva a lambire le rive del lago Qarun aprendosi in una spiaggia surreale, disseminata di gigantesche sfere di pietra bianca. Quasi meteore piovute dal Paradiso.
Tutto diverso quando ci inoltriamo nel Ghurd Abu Muharrik, il deserto primordiale da immaginario collettivo, chiamato, non a caso, il Grande Mare di Sabbia. Seicento chilometri di dune su cui la Natura si esibisce tra profili perfetti, linee essenziali e ghirigori, che è quasi un sacrilegio interrompere con i nostri fuoristrada, anche se basterà una folata di vento a restituirle alla purezza. Persino quando, e qui capita più spesso che non si creda, una delle Toyota Land Cruiser s’insabbia creando solchi profondi. Il Sahara egiziano, scrigno di mille tesori, in questa zona scopre un tavolato calcareo che sprofonda nella Djara Cave, una delle rarissime grotte carsiche sahariane, con una ricca scenografia di multiformi stalattiti alabastrine e di incisioni preistoriche. Ma l’effetto sorpresa più strabiliante è raggiunto quando, ai margini della depressione dell’oasi di Farafra, ci si addentra nell’Agabat, il mitico Deserto Bianco. Qui le bizzarrie della Natura non hanno limiti. Il vento e la sabbia, nei millenni, hanno smerigliato innumerevoli concrezioni calcaree fossilifere plasmandole in forme le più stravaganti, bianchissime, conficcate nella sabbia giallo ocra del Sahara in magnifico contrasto. Un bianco in divenire, che offre agli occhi uno spettacolo sempre nuovo virando dal giallino rosato dell’alba al candido abbacinante delle ore solari di punta, per poi chiudersi verso il giallo, prima dell’effetto emozionante del tramonto, quando tutto si accende di un rosso intenso e pian piano il sole cede il posto ad una superba luna. Dormire sotto la tenda nel Deserto Bianco è un privilegio che almeno una volta nella vita va colto e goduto fino in fondo, assaporandone tutta la magia.
La suggestione del contrasto nasce raggiungendo il Deserto Nero, nella depressione dell’Oasi di Bahariya, dove una remota attività vulcanica ha lasciato visibili tracce di ferro, manganese, basalto e quarzite, creando un paesaggio unico quanto inquietante. Bahariya, l’oasi più florida in epoca greco-romana, oggi ribadisce la sua storia nelle bellissime tombe tolemaiche sotterranee di Zed Amun Ef Ankh e di suo figlio Banentiu, con affreschi molto ben conservati, e nel piccolo museo che espone alcune -mummie d’oro- scoperte negli anni ’90, da una missione archeologica diretta dal dott. Zahi Hawass, in una vasta necropoli risalente al I-II secolo d.C., che forse contiene più di diecimila mummie. E l’espressione impenetrabile di queste mummie, adagiate nelle teche e protette da preziose maschere d’oro, accorcia le distanze con quell’aldilà che dopo millenni ancora permea del suo mistero questa terra così ricca di fascino e di malìa: l’Egitto.
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