Testo di Caterina Eleuteri
E’ subito a lei, alla Torre Pendente, che si rivolge lo sguardo di chiunque arrivi a Pisa. Svetta un po’ inclinata ma superba con i suoi 56 metri, 8 piani e 7 campane, inserita nel meraviglioso complesso della Piazza dei Miracoli, Patrimonio Unesco. Quella pendenza di 4 gradi, una sfida alle leggi della fisica, ha alimentato nei secoli leggende e previsioni di crolli imminenti. Ogni pisano, si dice, la guarda ogni mattina. Se è ancora su, è certo che sarà una buona giornata. La Torre di Pisa nelle intenzioni del suo architetto, tale Diotisalvi, non doveva che essere il campanile del Duomo di Santa Maria Assunta, eppure da secoli continua a rubarle la scena. Come tutto il magnifico complesso di cui fa parte, la Piazza dei Miracoli – chiamata così da Gabriele D’Annunzio- fu costruita su un terreno inadatto, friabile e con infiltrazioni d’acqua. Se ne accorsero già all’inizio della realizzazione del progetto, nel XII secolo, ma dopo una breve sospensione continuarono a costruirla e due secoli più tardi la consegnarono ai pisani, finita e ornata di loggette decorate con i motivi del Duomo, bellissimo esempio di romanico pisano. Un errore, certo, ma come disse della Torre lo scrittore Gianni Rodari “Gli errori sono necessari, spesso anche belli”.
Tutti gli uomini di scienza del mondo si sono impegnati per cercare di raddrizzarla, o almeno per limitarne la pendenza. Troppo lungo menzionare gli interventi dall’Ottocento ai giorni nostri. Qualcuno propose persino di congelarla, tenerla protetta in una capsula di ghiaccio. Consola tuttavia pensare che la verticale che passa nel baricentro della struttura cade fortunatamente nella base d’appoggio. Tutti concordi, quindi nell’escluderne il crollo, almeno per i prossimi 300 anni. Poi si vedrà. La Torre pendente è comunque il monumento più fotografato del mondo. Ma quando tra un selfie e l’altro finalmente i turisti si guardano intorno scoprono la bellezza del Duomo dalla facciata ricchissima di marmi policromi, mosaici e bronzi, del Battistero di San Giovanni, il più grande d’Europa e dalla strabiliante acustica, e del Camposanto monumentale. Continuando a percorrere il centro storico, ecco la Piazza dei Cavalieri, dove si svolgevano le attività e i commerci, con un’altra torre famosa, quella della Muda, oggi inglobata nel Palazzo dell’Orologio, ma da tutti conosciuta come la Torre della Fame. Ospite non proprio entusiasta fu l’illustre conte Ugolino della Gherardesca. Vi fu rinchiuso e la chiave gettata in Arno. Condannato a morir di fame, non esitò a divorare la sua progenie, figli e nipoti. Ne parla Dante in un passo dell’Inferno (“…più che il dolor poté il digiuno….”).
Il Palazzo dei Cavalieri o delle Carovane, opera di Giorgio Vasari, ospita dal 1564 un’istituzione prestigiosa: la Scuola Normale Superiore. Pisa ebbe un ruolo centrale nella storia in varie epoche, ma la sua età dell’oro fu quando era Repubblica Marinara insieme ad Amalfi, Genova e Venezia e dominava le rotte commerciali del Mediterraneo. E’ pisana la più antica Carta Nautica del mondo. Forti i suoi legami anche culturali con la Spagna moresca e l’Africa del Nord. Fu allora che il matematico Leonardo Fibonacci impose in Europa l’uso dei numeri arabi. Da visitare ciò che resta degli Arsenali. Bellissime e ancora solide le arcate di quello Repubblicano, con la darsena dove già nel 1200 si costruivano barche e si riparavano le galee e che in seguito ospitarono un deposito di armi. Nel Cinquecento invece Cosimo I dei Medici ne fece costruire uno più vasto per ospitare la potente flotta toscana ma in seguito fu trasformato dai Lorena in una struttura per ospitare i cavalli del Reggimento dei Dragoni. Oggi è visitabile come area espositiva con una gran quantità di documenti, relitti e reperti archeologici. Tra le varie tappe da non perdere la Casa di Galileo, il genio pisano incompreso che capovolse i saperi del mondo ma che a 70 anni fu costretto ad abiurare la grande scoperta della rotazione della Terra.
Per la teoria copernicana vincente, infatti, essa era ferma ed era l’universo a girarle intorno. Da ammirare anche il settecentesco Casino dei Nobili, adibito a feste ed attività ricreative degli aristocratici e rigorosamente vietato alla gente comune. Eccezionalmente potevano calpestare i red carpet di allora anche ricchissimi borghesi, ma solo con la garanzia di un sangue blu. La bellezza della città, che vanta decine di chiese e di edifici storici, fu molto apprezzata e descritta nel Settecento dai viaggiatori del Gran Tour, come George Byron e Percy B. Shelley. Quest’ultimo sosteneva che il miglior tramonto del mondo si godeva a Pisa dal Ponte di Mezzo, sorto dopo la distruzione dell’ex Ponte Vecchio, mentre Byron amava di più quelli veneziani. Non disdegnava però abitare a Palazzo Toscanelli (oggi Archivio di Stato), dove si divertiva a salire a cavallo le monumentali scale. Se ne discuteva al vecchio Caffè dell’Ussero, quasi un cenacolo, tra gli intellettuali dell’epoca. Un’altra visione della città si gode passeggiando nei Lungarni, a partire da quello Mediceo con gli edifici delle signorie. Il fiume univa la città a Firenze, eppure una strana rivalità divise le città nei secoli, fin dal Medioevo. Ancora oggi nel capoluogo toscano si dice “Meglio un morto in casa che un pisano all’uscio” e i pisani non risparmiano battute sui fiorentini. Solo quando arrivarono le scorrerie saracene Pisa e Firenze si accordarono per una tregua e si scambiarono persino dei doni, come le due colonne di porfido collocate accanto alla Porta del Paradiso del Battistero di Firenze.
Ma durò poco e la storia riferisce di sempre nuove occasioni di contrasto. Impossibile citare luoghi da visitare che del resto ogni guida indica. Ma il viaggiatore può farne a meno per un po’ e camminare senza meta per scoprire emozionanti e inediti particolari. Magari ascoltando il suono delle sette campane della Torre. Ognuna ha un nome: Assunta, la più grande (3620 kg), Crocifisso, San Ranieri, Del Pozzo, Vespruccio, Terza e Pasquareccia. Quest’ultima si chiamava prima Giustizia, ed avvertiva dell’esecuzione di un traditore. Tutte suonano in differenti ore e nei vari appuntamenti del calendario liturgico. Numerosi i ristoranti e le trattorie in cui fare un incontro ravvicinato con le specialità gastronomiche. Molti piatti sono comuni a tutta la Toscana come le zuppe, i legumi, le carni e le frattaglie, soprattutto la trippa. Ma la città rivendica alcune ricette proprie, come la Francesina alla pisana, un piatto di recupero con manzo lesso del giorno prima, servito in umido con cipolle rosse. Pare che ne fosse goloso anche Garibaldi. Buonissimo il Mucco, un incrocio di bovino del Parco di Migliarino e San Rossore, servito in varie declinazioni. Dolce tipico è la Torta co’ i bischeri con cioccolato, uvetta, riso e pinoli, laddove però i bischeri non sono i pinoli ma i bordi appuntiti della pasta. Vini all’altezza, soprattutto i rossi. La Strada del vino, appena fuori la città, con il suo percorso collega uno straordinario territorio collinare tra i borghi e le aree interne della Valdera e del Valdarno Inferiore fino a percepire, con la Val di Cecina, la vicinanza del mare.