Testo di Anna Maria Arnesano e foto di Giulio Badini
Il Kirghizistan costituisce la più orientale e la più montuosa delle cinque repubbliche sorte nel 1991 dal dissolvimento dell’Unione Sovietica e note con il nome generico di Asia centrale, un territorio grande 13 volte l’Italia (abitato da appena 57 milioni di abitanti in gran parte ancora nomadi) poco noto in Europa e dall’incerta collocazione geografica, famoso soprattutto per aver ospitato il tratto mediano di quella straordinaria via di interscambio per merci e conoscenze che è stata per oltre due millenni la Via della Seta. Esteso quanto due-terzi dell’Italia, il Kirghizistan confina a nord con il Kazakistan, ad ovest con l’Uzbekistan, a sud con il Tagikistan e ad est con la Cina; montuoso per il 94 % del territorio con un’altitudine media di 2.750 m e coperto per tre-quarti da nevi e ghiacciai perenni, risulta solcato dalle più imponenti catene del continente che dal Pamir, il Tetto del Mondo, si irradiano a formare i massicci dell’Himalaya, del Karakorum, dell’Hindu Kush, del Kunlun, del Tian Shan fino all’Altaj mongolico, con vette di 5-7.000 m e ghiacciai estesi per 8.000 km2. La cima maggiore è data dal Pic Pobedy, 7.439 m. Tra le montagne settentrionali del Tian Shan si apre il lago Issyk-Kul, riserva della biosfera Unesco, secondo per dimensione (grande 17 volte il nostro Garda) e quarto per profondità al mondo, con la caratteristica di non ghiacciare mai. Piccole pianure si trovano a nord e al centro, lungo la fertile valle di Fergana, che taglia in due il paese. Date le premesse geografiche, l’economia si basa essenzialmente sull’allevamento: pecore, yak e cavalli con tre capi per ogni abitante a sfruttare la maggior risorsa del paese, l’erba dei pascoli d’alta quota, con una vita seminomade trascorsa entro le yurte di feltro come millenni or sono i loro progenitori.
E per integrare i magri introiti familiari della pastorizia, in mancanza di monumenti da una ventina di anni si è incredibilmente sviluppato un tipo diffuso di turismo rurale sostenibile per utilizzare l’altra grande risorsa naturale nazionale, vale a dire le montagne più belle del mondo, con escursionismo e trekking a piedi e a cavallo tra pascoli e vette, accolti dalla tradizionale ospitalità dei nomadi. Il paese offre infatti un repertorio unico di ecosistemi, con enorme varietà di flora e fauna. In estate i pascoli montani offrono un tripudio di fiori selvatici, con marmotte e pika prede di aquile e gipeti, e il raro leopardo delle nevi (qui presente con la seconda popolazione della terra) intento a cacciare stambecchi e mufloni, mentre le foreste del Tian Shan ospitano linci, lupi, cinghiali e orsi bruni. I kirghizi, discendenti da guerrieri sciti arrivati dalla Siberia in epoca preistorica, parlano una loro lingua turcofona oltre al russo e sono islamici sunniti assai moderati e con influenze sciamaniche; nel territorio vivono 80 clan etnici (66 % kirghizi, 14 uzbeki e 10 russi), con notevoli differenze economiche e sociali tra nord e sud. Il clima è continentale secco, con inverni rigidi e estati calde. Molti sport tradizionali si svolgono a cavallo, dalla caccia con l’aquila fino al Kok Boru, una specie di polo violento con i cavalieri che si contendono la carcassa di una capra senza esclusione di colpi. Vige ancora l’usanza che per sposarsi occorre “acquistare” la donna con una costosa dote; per evitarla, spesso le giovani vengono rapite – consenzienti o meno – dagli aspiranti coniugi, mettendo le famiglie di fronte al fatto compito. I prodotti artigianali più noti sono gli shyrdak, tappeti di feltro dai colori vivaci usati dai nomadi, mentre gli uomini calzano un cappello conico di feltro bianco.
Un possibile itinerario della durata di due settimane parte dalla meridionale Osh, seconda città con forte presenza uzbeka, importante bazar lungo la Via della Seta; anche se non esiste alcun monumento a provarlo, per la distruzione operata dai mongoli, tutti vi diranno che è più antica di Roma. Si imbocca la valle dell’Alay, estrema appendice montuosa meridionale del paese, cuore del versante kirghizo del Pamir, una delle aree più remote e selvagge dell’Asia Centrale al confine con Tagikistan e Cina e punto ideale di accesso al Pik Lenin, uno dei 7.000 più facilmente accessibili. Nel 2013 il Pamir è entrato a far parte dei siti protetti dall’Unesco. Nella regione centrale si attraversa la fertile Valle di Fergana, definita il granaio dell’Asia centrale, per raggiungere un noto caravanserraglio del X-XV che porta fino ad alti pascoli a 3.500 m di quota, e si toccano le sorgenti termali di Jalal-Abad, note fin dal Mille anche in India e Afganistan per le loro proprietà curative. Nel nord-est tappa d’obbligo al lago Issyk-kol, il lago caldo che non gela per l’attività geotermica e l’elevata salinità, lungo 170 km e largo 70 e perla dei monti Tian Shan, disseminato di complessi termali. La circostante riserva della biosfera Unesco presenta un’estrema varietà ambientale: deserto e steppe, praterie, foreste subalpine e glaciali, abitata da stambecco, cinghiale, pecora di Marco Polo, leopardo delle nevi, ibis, gatto della steppa, gallo himalayano e oca selvatica. Da qui si diparte la Valle del Karkara, che segna il confine con il Kazakistan e conduce a rigogliosi pascoli d’alta quota nel cuore dei Tian Shan centrali, le montagne celestiali al confine con la Cina. Qui si trova l’ Inylchek, il ghiacciaio maggiore del Tian Shan (lungo 60 km) che a 3.300 m forma un lago stagionale punteggiato da iceberg, che verrà sorvolato in elicottero. Siamo nel pieno della miglior regione dell’Asia centrale per la pratica di trekking, escursionismo e alpinismo, tra le più belle montagne della terra.