Testo di Anna Maria Arnesano e Foto di Giulio Badini
Nell’immaginario collettivo il Kenya rappresenta la quint’essenza dell’Africa vera, quella della grande fauna selvatica, delle sterminate mandrie di erbivori al pascolo nella savana, dei fenicotteri rosa sulle rive dei laghi, dei pastori nomadi con le loro mandrie, dei paesaggi sconfinati punteggiati da acacie ombrellifere e maestosi baobab. E’ l’Africa degli scrittori, attanagliati e ispirati dal suo fascino primordiale, dei grandi libri fotografici, dei documentari naturalistici e dei film. Perché proprio qui sembra essere nato lo struggente Mal d’Africa. E anche la terra dove sono nati i safari, che in lingua swaili significa semplicemente viaggio: all’inizio del secolo scorso quelli cruenti dei nobili, dei ricchi e degli avventurieri occidentali armati di fucili, oggi quelli dei turisti di tutto il mondo con digitale e telecamera. Il Kenya, grande quasi due volte l’Italia ma con metà popolazione, rappresenta infatti la principale destinazione turistica dell’Africa Orientale per l’efficiente organizzazione ricettiva, retaggio del colonialismo inglese (oggi ci sono più bianchi che a metà del 900), la sua grande ricchezza faunistica e l’estrema varietà ambientale, che spazia delle candide spiagge sull’oceano Indiano orlate di palme, ventilate dagli alisei e protette dalla barriera corallina, alle colline centro-occidentali ricoperte da piantagioni di the, caffè e canna da zucchero, dalle vette vulcaniche dei monti Kenya (5.199 m), Kilimangiaro (5.896) e Elgon (4.321) con i loro ghiacciai perenni sebbene tagliati dall’Equatore, ai grandi laghi di confine, fino alle infinite steppe semidesertiche del nord e dell’est.
Non solo oggi il Kenya possiede i parchi più belli, ricchi e meglio attrezzati del continente, ma è anche il posto migliore dove poter osservare i famosi “big five”: leone, bufalo, elefante, leopardo e rinoceronte, anche se in realtà possiede in gran numero tutto il campionario della fauna africana. A differenza di altri paesi qui la protezione della natura non affonda le radici nel tempo, perché i coloni inglesi erano più interessati alla produzione agricola e alla caccia, ma risale agli ultimi decenni come reazione ad una inaccettabile attività di caccia e bracconaggio che aveva portato alcune specie sull’orlo dell’estinzione: il primo parco, quello di Nairobi, risale infatti al 1945. Dal 1977 in tutto il paese è vietata la caccia. Ora in compenso annovera una trentina di parchi nazionali (i più famosi sono Tsavo, Amboseli, Masai Mara, Aberdare, Marsabit e parco marino di Malindi) e parecchie riserve naturali minori, tutti con un’enorme varietà di flora e fauna, ed è protetto il 12 % del territorio (contro il 5 % del 1993). Per le loro peculiarità i parchi del monte Kenya e del lago Turkana sono stati riconosciuti dall’Unesco come Patrimonio dell’Umanità. Tuttavia la stragrande maggioranza del patrimonio naturalistico kenyota si trova fuori dai parchi e per questo motivo stanno sorgendo parecchie riserve private, dotate spesso di ecolodge di grande charme e comfort, dove si può rivivere l’atmosfera dell’old Africa dei safari e dei cacciatori alla Hemingway. In Kenya oggi sopravvive soltanto il 3 % delle foreste originarie; vanta tuttavia una vegetazione molto diversificata per la grande varietà ambientale, dove prevalgono acacie ad ombrello, baobab e arbusti spinosi. Ai piedi delle alte montagne permangono fitte foreste temperate di sempreverdi, con specie pregiate come mogano ed ebano. La varietà ambientale favorisce anche una notevole ricchezza di volatili, in primis struzzi, avvoltoi e marabù, poi fenicotteri, pellicani, gnu e cicogne attorno a fiumi e laghi, buceri e uccelli tessitori nelle foreste. Ma il più affascinante spettacolo della natura è sicuramente costituito dalla migrazione stagionale di erbivori (gnu, zebre, antilopi, gazzelle e bufali), seguiti a vista dai predatori carnivori, dal parco di Masai Mara a quello tanzaniano del Serengeti: milioni di animali in movimento, la maggior concentrazione faunistica della terra, in cerca di acqua e nuovi pascoli.
Discorso a parte merita la regione settentrionale, verso i confini con Uganda, Sudan, Etiopia e Somalia, impostata sulla grande depressione del lago Turkana, dove il paesaggio muta profondamente, caratterizzato da savane con acacie, deserti, distese di nere rocce laviche, vulcani spenti ricoperti da foreste, canyon, laghi e oasi lussureggianti. Una zona poco battuta dal turismo per la distanza su strade e piste sconnesse, la mancanza di strutture e il caldo intenso, ma anche di estremo interesse paesaggistico, naturalistico, con una ricchissima avifauna e animali inusuali come giraffa reticolata, struzzo somalo, orice beisa, kudu, zebra di Grevy (oltre ad elefanti, leoni, leopardi e gazzelle), palme dum e papiri, e etnografico, con alcune delle più singolari etnie del continente come turkana, samburu, rendille e gabbra. Il Turkana, ex lago Rodolfo, lungo 265 km, largo 56 e fondo 70 m, copre una superficie di 6.405 kmq (un quarto della Sicilia) e si spinge a nord in Etiopia a ricevere il fiume Omo, suo unico emissario; appena 10 mila anni fa le sue acque erano più alte di 100 m e la sua superficie tripla. Vanta alcuni primati: il lago maggiore del Kenya, il lago desertico permanente e quello alcalino più grande del mondo e il 4° salato; le sue acque, di un color verde pallido tanto da meritare l’appellativo di “mare di giada”, ospitano due isole vulcaniche e sono ricche di ippopotami e coccodrilli. Sulle rive, oltre a resti di ominidi fossili, sono state di recente scoperte orme umane vecchie di 1,5 milioni di anni.