Testo di Marco De Rossi
Vaso di coccio tra vasi di ferro, la Giordania ancora non è stata contagiata dalle rivolte della primavera araba, e al momento è l’unico paese mediorientale visitabile in totale sicurezza. Stretta tra vicini molto irrequieti o inaccessibili, Siria, Iraq, Israele, Egitto, Arabia Saudita, la Giordania ha molti assi nella manica per attirare turisti, soprattutto quelli in fuga dal nord Africa e dalla Siria: luoghi da set cinematografico, come il deserto del Wadi Rum, meraviglie archeologiche come Petra e Jerash, spa da sogno, cibo delizioso, accoglienza eccellente. Si sbarca ad Amman direttamente da Roma con la Royal Jordanian. La capitale si può saltare a piè pari.
A parte una fugace visita a quello che rimane dell’acropoli, il resto è un disordinato agglomerato urbano privo di qualsiasi attrattiva. Meglio dirigersi subito verso sud, destinazione Petra. L’antica capitale dei Nabatei è uno dei siti archeologici più famosi del mondo, reso ancor più popolare per essere stato il set di uno dei film della saga di Indiana Jones. Bisogna percorrere il Siq, la stretta fenditura fra le rocce che conduce al Tesoro, di notte. E’ “Petra by night”. Le guide preparano il percorso segnandolo con lumi di cera incartocciati d’arancione, che conferiscono al luogo, già di per sé estremamente suggestivo, un look quasi onirico. Arrivare alla spianata del Tesoro, accompagnati dal suono di un flauto e dai versi recitati da attori che si perdono nel buio, con la facciata del monumento che risplende d’arancio, è un’esperienza che dovrebbe essere resa obbligatoria per legge.
Poi si torna, la mattina dopo, a visitare l’antica necropoli, percorrendo i quattro km del canyon fra le tombe scolpite e scavate nella roccia, senza curarsi del caldo e della fatica. C’è da scarpinare, ma la pigrizia può essere vinta con passaggi a dorso di cammello o su carrozzini trainati da muli. Dell’antica città rimane ben poco, un terremoto nel IV secolo dopo Cristo ha buttato giù quasi tutto. Tanta meraviglia toglie il respiro. Appena si riprende fiato, subito in marcia verso il Wadi Rum, il deserto più grande del Paese, area protetta dall’Unesco, un’altro luogo da apnea, descritto da T.E. Lawrence nel suo romanzo “I sette pilastri della saggezza (“Il tramonto cremisi infuocava le stupende rocce e gettava lunghi fasci di luce sul muro del viale principale”). E’ proprio nel Wadi Rum che si trovano le sorgenti di Lawrence d’Arabia e la montagna dei sette pilastri della saggezza.
Lo scrittore gallese e ufficiale dell’esercito di sua Maestà, Lawrence, che proprio nel Wadi Rum stabilì la sua base operativa per guidare la rivolta araba nel 1917-18, ha definito il deserto “immenso, echeggiante, simile ad una divinità”. Perché quelle rocce circondate da sabbia hanno veramente qualcosa di mistico e fanno realmente pensare al soprannaturale. Il tramonto è il momento migliore per apprezzare i picchi di granito che spuntano dalla sabbia come pinnacoli e toccano altitudini inaspettate (il Jabal Rum tocca i 1750 metri). Eppure, nonostante le sue bellezze risplendano al sole, il Wadi Rum è chiamato anche “la valle della Luna”, perché anche di notte, sotto il cielo stellato, è in grado di offrire spettacoli di una suggestione unica.
Dune, distese di sabbia, lingue di terra bruciata, antiche piste carovaniere, oasi millenarie, piccole comunità beduine, sono le quinte di un teatro che dà il meglio di sé quando si alza e quando cala il sipario, all’alba e al tramonto, quando la luce bassa e angolata mette in evidenza i contrasti e delinea i contorni di un paesaggio assolutamente straordinario. Il modo migliore per apprezzarne l’essenza è percorrere a piedi le sue antiche piste, dormendo nelle tende beduine. Terminata l’esperienza mistica del Wadi Rum, si riparte verso nord, destinazione Mar Morto, la depressione più profonda del pianeta, – 470 sotto il livello del mare. Vale la pena di fare una puntata sul Monte Nebo, a due passi dal mar Morto, dove la leggenda vuole che Mosè abbia visto per la prima volta la terra promessa.
Poi via, di nuovo on the road, alla volta di Jerash, nella terra biblica di Gilead, una delle città che formavano la Decapoli romana, definita la Pompei dell’Asia, uno dei siti archeologici meglio conservati dell’area mediorientale. Il sito è enorme, la pianta della città, la sua struttura urbanistica, il viale principale, le porte d’ingresso, i due teatri stanno lì a testimoniare la sapienza costruttiva dei Romani, che avevano un ineguagliabile senso dell’estetica e della vivibilità urbana. L’antica Jerash ospita ogni anno, a fine luglio, un grandioso festival di musica etnica, durante il quale le rovine si rianimano e diventano vive. Per dimostrare che il nostro passato non muore mai.