Testo e Foto di Anna Alberghina
Che cosa significa nascere donna in Oman?
Inutile negare il fascino di questo mondo misterioso, un tempo inaccessibile. Molti sono tuttora convinti che la condizione delle donne omanite sia simile a quella delle vicine saudite. Non potrebbero essere più lontani dal vero. In Oman le donne possono lavorare, guidare, votare, possedere proprietà e gestire un’attività. Grazie ai proventi del petrolio ed alla mentalità progressista del Sultano Qaboos bin Said, il paese è stato catapultato nell’era moderna ed ha avuto inizio un’epoca di vero e proprio “Rinascimento”. Questa rapida trasformazione ha prepotentemente influenzato la posizione delle donne nella società. Relegate un tempo nelle case ed escluse dalla vita pubblica, molte sono ,oggi, in grado di intraprendere una vera carriera. Nel 2002 è stato istituito il suffragio universale per tutti i cittadini sopra i 21 anni. Nel 2008 un decreto reale ha stabilito uguali diritti ereditari e la presenza femminile nelle scuole è in costante ascesa.
Il Sultano ha sempre enfatizzato l’importanza delle donne nel processo di crescita del paese e l’Oman è attualmente lo Stato del Golfo che detiene il primato delle lavoratrici, con numerosi ambasciatori e ben due ministri di sesso femminile. Esse hanno oggi l’opportunità di accedere ai più alti livelli di istruzione ed, una volta inserite nel mondo del lavoro, possono usufruire di permessi per le gravidanze e l’allattamento. Ma non son tutte rose e fiori! Sfortunatamente esistono ancora molti pregiudizi e numerose attività, in campi come l’agricoltura e l’ingegneria, sono state giudicate “inappropriate”. Il maggior ostacolo è rappresentato dalla mentalità conservatrice degli uomini arabi che sono in gran parte convinti della propria superiorità e ritengono che il sostentamento della famiglia sia responsabilità esclusivamente maschile. Ecco riaffiorare i vecchi stereotipi che agiscono come deterrente, distogliendole dal desiderio di rendersi economicamente indipendenti. Molto diffuso, poi, l’effetto “soffitto di vetro” che blocca le carriere ed impedisce l’accesso alle posizioni di potere.
Nelle realtà rurali, dove è ancora forte il modello patriarcale, si son visti ben pochi cambiamenti. I matrimoni sono ,per lo più, combinati. Veri e propri contratti stipulati dalle famiglie. La scelta preferenziale ricade sui cugini di primo grado ,in linea paterna. Le unioni d’amore sono rarissime anche negli strati più alti della società. Nonostante la legge omanita sancisca la massima libertà, prevale sempre la tradizione: è il padre ad essere responsabile della “felicità” della propria figlia. La verginità è un requisito imprescindibile ed il mancato superamento della “verifica” getterà onta su tutto il clan. Nei nuclei familiari poligami, la prima moglie è solitamente una cugina e la seconda una parente alla lontana. Benché l’Islam consenta di avere sino a 4 mogli, recentemente gli uomini preferiscono divorziare e risposarsi, lasciando così la prima moglie senza reddito né supporto. Nelle case vivono normalmente tre generazioni anche se cominciano a vedersi coppie indipendenti che, tuttavia, mantengono stretti legami con il resto della famiglia.
L’uomo più anziano detiene la massima autorità mentre la donna più anziana è responsabile dell’organizzazione domestica. La legge ereditaria è governata dalla Sharìa e nelle società beduine le donne spesso cedono la loro eredità a figli o fratelli in cambio della promessa di assistenza nella vecchiaia. I nuovi nati sono affidati alle cure materne per i primi due anni di vita per poi entrare nel mondo degli adulti. Benché le donne siano, almeno formalmente, libere di interagire con l’altro sesso, preferiscono essere accompagnate agli eventi pubblici da un parente maschio. Secondo la legge islamica esse devono sempre mantenere un atteggiamento modesto. Fuori casa si avvolgono nell’”abaya” nera, il volto coperto dal velo che lascia liberi solo gli occhi , pesantemente truccati col kajal. Le donne beduine, invece, indossano i coloratissimi abiti tradizionali che prevedono l’uso del “burqa”, una maschera nera in tessuto, sormontata da una cresta che le fa assomigliare ad uccelli rapaci.
Un tempo usate per proteggersi dal sole e dalla sabbia, oggi queste maschere più che un obbligo sembrano quasi un vezzo. In alcune regioni del paese assumono fogge diverse e tinte vivaci , dal dorato al porpora scintillante. Sotto l’abaya si celano abiti colorati, eleganti e sensuali, destinati, però, ad essere sfoggiati solo in famiglia. Nonostante la modernizzazione, è ancora in uso, soprattutto nel Dhofar, la pratica della circoncisione femminile. In realtà, negli ospedali omaniti, in accordo con le direttive dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, la mutilazione genitale femminile è stata bandita ma nelle corsie delle maternità si aggirano ancora le “ donne con l’incensiere”, chiamate dalle stesse madri per perpetrare questa usanza ancestrale. L’argomento è tabù. Non viene discusso nemmeno in privato e, spesso, gli uomini sono tenuti all’oscuro.
Mentre nel nord si tratta ormai soltanto di una cerimonia dal valore simbolico, nel sud è molto più brutale e prevede l’asportazione del clitoride e talvolta anche delle piccole labbra. In realtà, si tratta di un retaggio della tradizione e non di un obbligo religioso. Le credenze popolari vogliono che il taglio di parte dei genitali esterni delle donne ne stemperi l’ardore ed il desiderio sessuale con buona pace delle famiglie. Il cammino verso la conquista della libertà è arduo e faticoso ma, almeno in Oman, il primo seme è stato gettato. Speriamo che dia buoni frutti.
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