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Testo di Anna Maria Arnesano e foto di Giulio Badini
Il poeta Pablo Neruda si riferiva affettuosamente alla propria terra natale definendola il “paese sottile”; l’altra poetessa cilena premio Nobel Gabriela Mistral lo definiva come “la sintesi dell’intero pianeta” per la sua incredibile varietà geografica e ambientale. Nazione davvero curiosa il Cile, formata da una striscia di terra lunga ben 4.330 km e larga in media 200 ad occupare tutto il lato occidentale dell’America meridionale a sud del Perù, compressa tra le vette innevate della Cordigliera delle Ande alte fino ad oltre 6.000 m e le acque dell’oceano Pacifico, capace di offrire a nord i deserti più alti e più aridi del pianeta, mentre a sud i ghiacciai australi della Terra del Fuoco condivisi con l’Argentina. Grande due volte e mezzo l’Italia, conta appena 16 milioni di abitanti (70 % meticci, 25 bianchi e solo 5 indios amerindi) concentrati per l’ 85 % nella zona centrale grande solo un quarto e per l’ 87 % nelle grandi città (6 milioni nella capitale Santiago) perché i tre quarti del territorio risultano inabitabili e improduttivi. Nonostante ciò, dal punto di vista politico, economico e sociale si tratta del paese più progredito dell’America latina, grazie alla radicata cultura europea ed all’ingente ricchezza mineraria. Il popolamento, del quale sappiamo ancora poco, iniziò in epoca preistorica almeno 12 mila anni fa, con povere civiltà locali poi sottomesse agli Inca del Perù. La conquista spagnola iniziò nel XVI sec. con un paese agricolo povero, che divenne ricco solo nel 1700 grazie allo sfruttamento minerario (rame, nitrati, carbone, ferro, oro, argento, solfati) producendo una borghesia locale creola che nel 1818 portò all’indipendenza.
Assai interessante il Nord del paese, ai confini con Perù e Bolivia, culla delle più antiche civiltà indie capaci di produrre ottime ceramiche e mummie vecchie di 7 mila anni e sede dei maggiori giacimenti minerari. Si tratta di un altopiano ondulato ad una altezza media di 3-4.000 metri, sovrastato da imponenti coni vulcanici alti oltre seimila (il Cile conta oltre 2 mila vulcani, di cui 55 ancora attivi) occupato da steppe, aridi deserti e dai salar, enormi laghi salmastri entro bacini di salgemma a formare le aree più assolate del pianeta, con escursioni termiche giornaliere di 30 gradi e assenze totali di piogge anche per anni. Non a caso la Nasa ha collaudato qua il veicolo progettato per l’esplorazione di Marte. Eppure queste regioni inospitali hanno prodotto civiltà in epoca preistorica e storica, come attestano numerose testimonianze, capaci di mantenere rapporti commerciali con i popoli della costa e dell’interno del continente. Qui si trova anche il Deserto di Atacama, il più arido della terra, dove l’assenza assoluta di umidità consente di spaziare con lo sguardo per decine di km, disseminato di lagune turchesi piene di fenicotteri e di manifestazioni geotermiche sotto forma di crateri fumanti, geyser, fanghi termali e bacini d’acqua calda. Ancora più a nord, attorno a Putre, un altopiano stepposo offre preziose testimonianze archeologiche, lagune con acque termali e colonie di anatre e fenicotteri, il Parco nazionale di Lauca con la sua ricca avifauna tra laghi, fiumi e vulcani, e infine il lago Chungarà, uno dei più alti al mondo e riserva della biosfera dell’Unesco, uno specchio di acqua verde smeraldo tra cime innevate che protegge uccelli, lama, guanachi, vigogne e condor.
Sebbene distante dalle sue coste ben 3.700 km, al Cile appartiene dal 1888 anche l’isola di Pasqua, o Rapa Nui come la chiamano i suoi 2 mila abitanti, un’isola vulcanica montuosa e rocciosa con scogliere a picco e due sole ampie spiagge di lava, un po’ più piccola dell’Elba, ubicata in pieno Pacifico all’estremità orientale della Polinesia, a 4.000 km da Tahiti. L’isola si è formata in seguito ad eruzioni vulcaniche sottomarine iniziate 2,5 milioni di anni fa e conclusesi appena 12 mila anni or sono, come attestano i tre crateri maggiori alti fino a 500 m e gli oltre cento coni vulcanici satelliti. Oggi pressoché arida, fino ad alcune migliaia di anni fa era ricoperta da boschi con piante endemiche che offrivano ospitalità ad uccelli migratori. Gli abitanti, che parlano un idioma polinesiano, vi giunsero con flussi migratori successivi dalle Isole Marchesi a partire dal V sec. e qui poterono elaborare in maniera autonoma le espressioni culturali della Polinesia. Essi introdussero piante estranee come banano, canna da zucchero, patate dolci e gelso e animali come topi commestibili e galline, alla base della loro alimentazione assieme alla pesca.
Diedero vita ad una società composta da clan e governata da una monarchia teocratica fondata su una gerarchia aristocratica con rigide divisioni in caste. Tra 1000 e 1500 godettero di prosperità e pace sociale, ma poi successe qualcosa di molto grave: forse per un eccessivo incremento demografico, per la scomparsa delle foreste e l’impoverimento dei terreni agricoli si registrò una catastrofe ecologica che portò a guerre tra i clan con esempi di antropofagia, prigionieri in un’isola da cui non potevano più fuggire per mancanza di barche. Attorno al 1680 arrivò una nuova ondata di immigrati melanesiani, chiamati dalle orecchie lunghe, che fecero schiavi gli autoctoni, definiti dalle orecchie corte. Venne scoperta dagli europei il giorno di Pasqua del 1722 da una flotta olandese, poi epidemie e schiavismo la spopolarono, tanto che nel 1877 restavano soltanto 111 rapa nui, sostituiti da enormi greggi di pecore cilene. Il primo collegamento aereo con il Cile risale al 1967. La fama turistica appare legata in particolare ai moai, ben 886 enigmatiche sculture antropomorfe di pietra alte da 2 a 10 m dai tratti fortemente stilizzati, erette parecchi secoli fa, che ne fanno uno straordinario museo all’aria aperta protetto dall’Unesco come Patrimonio dell’Umanità, in perfetta sintonia con l’ambiente a creare un paesaggio unico al mondo.