Testo di Anna Quaglia
Foto di Anna Quaglia e Archivio
Amo scrivere e amo leggere. Un’introduzione che fa pensare a una stanza colma di fogli sparsi ovunque, appunti di ogni genere, penne, matite, il computer pronto per immortalare i pensieri non appena questi si preannunciano e bisogna prenderli al volo. E poi libri, tanti libri di ogni tipo, ordinati per genere o per autore ma a volte appoggiati qui e là come soprammobili.
Il genere “thriller” è tra i miei preferiti. Autori come Agatha Christie, P. D. James, Jim Eldridge, Donna Leon, Colin Dexter hanno un posto di privilegio nella mia libreria. Molti di questi racconti polizieschi sono ambientati in luoghi che amo e questo forse è il motivo principale per cui li scelgo. Quando si parla della regina del crimine – Agatha Christie – ci si trova immersi nel magnifico Devon oppure nell’altrettanto affascinante Dorset; Jim Eldridge ci descrive i delitti di una Londra durante la Seconda Guerra Mondiale oppure colloca il suo investigatore a indagare su omicidi avvenuti in importanti musei di Oxford, Cambridge e Londra. Con Colin Dexter siamo nell’amata Oxford in compagnia dell’Ispettore Morse mentre Donna Leon muove il Commissario Brunetti per le articolate calli di Venezia. Inghilterra, un Paese che amo profondamente e Venezia dove ho frequentato l’università.
Non disdegno altre letture come le avventure di Harry Potter. Un paio di anni fa mi sono recata in Scozia e quasi per caso mi sono trovata a passare proprio vicino al viadotto di Glenfinnan dove nei film e nelle storie del maghetto, “The Jacobite Train” trasportava gli studenti da Londra a Hogwarts.
Chi ama leggere difficilmente ordina libri, e soprattutto eBook, su Amazon oppure su altre librerie online. Chi ama leggere deve sentire l’odore della carta, deve vedere il libro, toccarlo, leggere la sinossi e guardare la copertina. Questo lo si può fare solo entrando in una libreria. Ma non una libreria qualsiasi.
Ma può una libreria emozionare? Io credo proprio di si.
Quando per la prima volta mi recai in Inghilterra per motivi di studio ho provato una fortissima emozione e un immenso stupore entrando in una libreria. Erano gli anni ’70 e dovevo trascorrere un mese a Oxford per frequentare un corso di inglese. Erano anni in cui l’elettronica era quasi un elemento da fantascienza che solo un extraterrestre, dal nostro umile punto di vista, era in grado di utilizzare. Niente computer, nessun cellulare. Quindi quando si aveva bisogno di un libro si entrava in una libreria.
In una città universitaria come Oxford il problema di trovarne una non sussisteva. Camminando per il centro storico della città definita “The City of Dreaming Spires” dal poeta vittoriano Matthew Arnold, mi sono imbattuta in una libreria che da allora è diventata la mia meta prediletta ogni qualvolta vado a Oxford. Parlo della storica e iconica “Blackwell’s”. Quasi insignificante dall’esterno forse per la sua aria compassata e pigra, non attirava l’attenzione del turista o dello studente. Ma probabilmente questo suo ignorare gli anni che passano e il non volersi adeguare ai tempi la rendono più affascinante oggi come allora.
Blackwell’s si trova in Broad Street, una delle strade più centrali e frequentate di Oxford per gli edifici storici che la abbracciano o forse per i negozi di souvenir e gadget, vere e proprie trappole per i turisti. Ma anche loro hanno un fascino e anch’io ne sono stata sedotta, lo confesso.
Per chi arriva a Oxford il tragitto migliore da percorrere per raggiungere Blackwell’s è attraversare St Giles’, uno slargo con uno storico memoriale e proseguire in direzione centro storico. Sulla sinistra si oltrepassa il St John’s College; suggerisco una brevissima sosta per visitarlo. Il St John’s College è stato il primo college che visitai la primissima volta che mi recai a Oxford: silenzioso, maestoso, severo, prati verdissimi. Era quel silenzio e quella tranquillità tipica di tutti i college che mi colpirono: varcato il cancello principale si entrava in un mondo magico che non ammetteva intrusioni di nessun genere. I rumori del traffico e gli schiamazzi degli studenti stranieri erano annullati come per incanto. Tutto era perfetto e quel silenzio a volte incuteva timore: ricordo quella sensazione quando lo visitai ma dopo qualche minuto di adattamento mi sentii quasi abbracciata da tanta bellezza e trasportata quasi per mano attraverso i suoi “quadrangles”.
Uscendo dal St John’s si prosegue verso sinistra dove inizia Broad Street. All’angolo si presenta in tutta la sua imponenza un edificio dalla facciata arrotondata. Eretto agli inizi del ‘900 ospitava una serie di attività commerciali e uffici. Ora invece ospita Waterstones Bookshop, un’altra importante libreria che recentemente si è diffusa in tutto il Regno Unito. Ovviamente quando passo davanti a una di queste librerie mi fermo per dare un’occhiata a quello che offrono e, devo essere sincera, si trova di tutto. Ma librerie come questa se ne trovano ovunque. Ciò che impressiona è la sua vastità ma non c’è un elemento particolare che la contraddistingue dalle altre. Tanto per essere chiari, potrebbe essere paragonata a un qualsiasi negozio di libri che si trova in ogni città.
Sullo stesso lato di Waterstones, una serie di vecchie costruzioni risalenti alla fine del ‘700 e inizi ‘800 ospitano negozi molto frequentati specialmente dai turisti come ad esempio Watson of Oxford, The Shop of Secrets, The Varsity Shop. Tutti questi “bazar” hanno una caratteristica: ogni capo di abbigliamento o gadget porta il “crest” ovvero lo “stemma” della University of Oxford oltre agli stemmi dei vari college.
Continuando la nostra passeggiata oltrepassiamo Blackwell’s Music, vastissimo negozio dedicato esclusivamente alla musica e a seguire due importanti gemme dell’architettura di Oxford, l’Exeter College e lo Sheldonian Theatre preannunciano quello che per me è il gioiello di Oxford e cioè Blackwell’s bookshop.
Di fronte a questi ultimi edifici citati, due costruzioni risalenti agli inizi del XVIII secolo attirano l’attenzione per il loro colore chiaro nella parte superiore e blu scuro nella parte inferiore all’altezza delle vetrine che espongono libri di ogni genere. Furono questi colori che negli anni ’70 si fecero notare e rapirono la curiosità di una studentessa che non era mai uscita dall’Italia. Ricordo che attraversai la strada, aprii una piccola porta e mi addentrai in un labirinto infinito. La prima impressione non fu delle migliori: odore di carta e legno molto “vecchio”: non è un’espressione molto elegante ma quella è stata la sensazione e l’effetto avuto non appena varcai la soglia del negozio. Gradatamente però mi abituai a quegli odori che cominciarono lentamente a diventare profumi. Non sapevo come muovermi perché ero letteralmente avvolta dai libri. Ho definito questo negozio un labirinto perché, apparentemente piccolo e angusto quando si entra, si sviluppa in settori comunicanti ognuno dei quali rappresentava e rappresenta un genere letterario. E poi scale che salivano, scale che scendevano, indicazioni ovunque per aiutare i clienti a cercare il libro che poteva interessare e anche aiutarli a non perdersi. Gran parte di Blackwell’s non si può vedere dalla strada perché il suo “basement” – più volgarmente seminterrato – si estende sotto il “quadrangle” del Trinity College.
La sensazione che si prova una volta all’interno – o almeno io provo ancora oggi – è quella di essere immersi nella storia: c’è costantemente un’aura severa, tipica dell’atmosfera di un college; un silenzio che nonostante la presenza dei clienti è perennemente avvertito. Si ha quasi il timore di fare rumore, di far cadere un libro ed essere additati come colpevoli di aver causato tanto chiasso. Ci si trova di fronte a quel rigore e austerità che tante volte abbiamo visto nei film di Harry Potter. Basterebbe aggiungere la magia di qualche libro che si muove, vola e si sposta per sentirsi catapultati nel mondo di Hogwarts. Quella fermezza e solennità presenti potrebbero intimorire ma ricordo che, quella primissima volta da Blackwell’s, immediatamente mi sentii a mio agio, come protetta e circondata da tanto sapere e da tanta storia.
Ogni volta che vi entro – l’ultima è stata lo scorso ottobre – provo le stesse sensazioni. Solo che ora quando mi addentro nel suo labirinto il timore della prima volta fa posto alla gioia di essere in un luogo che mi ha preso per mano tanti anni fa, mi ha fatto conoscere i suoi segreti, i suoi angoli nascosti e mi accoglie ogni volta con un abbraccio molto discreto e contenuto.
Ovviamente il passare degli anni e l’avvento dell’elettronica nel commercio hanno modificato anche questo angolo di cultura: sono arrivati i computer, qualche scaffale è stato rinnovato, hanno aggiunto una caffetteria dove poter interrompere la ricerca di un libro con una tazza di tè oppure caffè. Il rinnovamento ha fatto capolino anche qui ma quell’atmosfera si avverte ancora. Blackwell’s lo definirei una pietra miliare di Oxford perché Oxford non è una università qualsiasi. Tanti personaggi importanti, politici, scrittori vi hanno studiato: Lewis Carroll autore di “Alice nel Paese delle Meraviglie”, Oscar Wilde autore di “Il Ritratto di Dorian Gray”, T.S. Elliott con “Assassinio nella Cattedrale”, Clive Staples Lewis con le “Cronache di Narnia”, J.R.R. Tolkien autore de “Il Signore degli Anelli”, la Primo Ministro Margaret Thatcher, Rowan Atkinson, famoso per la serie di “Mr. Bean” e Tony Blair, altro Primo Ministro. Chissà quanti ne ho dimenticati. E di sicuro tutti sono passati da Blackwell’s. Dimenticavo un attore che mai avrei pensato avesse studiato e si fosse laureato a Oxford: Hugh Grant!!!
Potrei trascorrere ore e ore in una libreria, senza provare noia o solitudine. E la solitudine che avvertii non appena misi piede sul suolo britannico in quel lontano 1973 sprovvisto di telefonini e computer fu grande. Quando scoprii questo angolo di cultura – definirlo angolo direi sia offensivo ma rende l’idea della sua intimità – iniziai a considerarlo un rifugio tranquillo e sicuro dove sfogliare un libro seduta nei vari salottini sparsi ovunque e alla fine scegliere il libro. Ma si può anche non acquistare. Si entra, si fa un giro, si sfoglia e poi si esce e nessuno dice nulla. Si rimanda l’acquisto alla visita successiva.