Testo di Anna Maria Arnesano e Foto di Giulio Badini
Una nuova attrattiva attende i turisti in Sudan. E’ stato infatti di recente inaugurato nella cittadina di Atbara, situata sulle sponde del Nilo 300 km a nord della capitale Khartoum e lungo la direttrice turistica della Nubia, un nuovo museo delle ferrovie. L’iniziativa è opera di un privato, Mr. Mustafa, un intraprendente ferroviere in pensione che ha trascorso anni a raccogliere quanto poteva contribuire a raccontare la storia delle ferrovie sudanesi: menù, piatti e posate delle eleganti carrozze ristoranti degli anni 1920-30 con lo stemma “RR – Royal Railways”, biglietti degli anni ’50 con relative obliteratrici, i primi telefoni a manovella, gli orari e cartelli segnaletici, le gigantesche radio di un tempo, numerosissime fotografie di raffinati passeggeri, in gran parte colonizzatori inglesi, e di personale di servizio, e poi tanto altro materiale ormai inutilizzabile e anacronistico, ma capace di raccontare una storia, quella dei treni sudanesi. E nel cortile antistante trovano posto alcuni semplici vagoni in legno e altro materiale rotabile ingombrante, tutti accompagnati da spiegazioni in arabo e in inglese.
La scelta del luogo non risulta affatto casuale: Atbara, maggior snodo ferroviario del paese tanto da essere anche chiamata “Ferrovia City”, vanta una lunga tradizione specifica, essendo stata da sempre il quartier generale delle ferrovie sudanesi e sede di produzione del materiale rotabile. In questa città il fiume omonimo di provenienza etiope confluisce nel Nilo dopo un percorso di 800 km ed è l’ultimo affluente prima dello sbocco nel Mediterraneo. Le ferrovie in Sudan non hanno svolto un ruolo economico e sociale altrettanto importante quanto in altre nazioni confinanti di dominazione coloniale o di influenza britannica, quali il Kenya o l’Uganda. Pur rientrando nell’utopistico progetto del magnate anglo-africano Cecil Rhodes (a fine ‘800 uno degli uomini più ricchi del mondo) di collegare a mezzo strada ferrata Il Cairo con Città del Capo, le ferrovie non nacquero per perseguire un processo di sviluppo, ma per una mera esigenza militare. Nel 1885, dopo la conquista di Khartoum da parte delle brigate nazionaliste islamiche del Madhi, gli anglo-egiziani avevano bisogno di un mezzo veloce ed economico per far arrivare dall’Egitto al Sudan ingenti quantità di soldati, armi e rifornimenti; con l’avanzare della strada ferrata giunsero infatti anche le vittorie in battaglia (di cui una fondamentale nel 1898 proprio ad Atbara) e la riconquista del paese.
Peccato però fosse stato scelto uno scartamento ridotto (la distanza cioè tra i binari) incompatibile con quello già esistente negli stati confinanti, compreso l’Egitto, per cui i treni sudanesi non possono uscire dai confini nazionali e sui binari sudanesi non possono transitare treni esteri. E poi a binario semplice, adatto cioè per un traffico di piccolo cabotaggio, per un paese di nomadi che intende continuare a spostarsi soltanto con l’asino o il cammello. Senza contare che le locomotive sono andate a vapore fino al 1976, quando sono comparse quelle a diesel. Un colossale errore strategico, tra le principali cause di mancato sviluppo, in un paese povero, sostanzialmente piatto e di enormi dimensioni (grande oltre 8 volte l’Italia), con la conseguenza che ad oggi l’intera rete non arriva a cinquemila chilometri (dei quali 1.400 servono in esclusiva le piantagioni di cotone della fertile regione di Al Jazira, tra i due corsi del Nilo a sud di Khartoum) con un trasporto lento, scarso traffico passeggeri e merci nullo.
A tutto vantaggio di un più costoso ed inquinante traffico su gomma, pur in presenza di una rete stradale (in parecchi casi sarebbe più corretto parlare di piste) assolutamente inadeguata, anche se i cinesi sono impegnati a costruire strade a tutto spiano in cambio di petrolio. Eppure l’incontro improvviso nel deserto con un binario che viene e che va nel nulla, oppure la visita ad una decadente ma affascinante stazione genera nel turista sentimenti di struggente nostalgia.