Julius Caesar Ibbetson – L’ascesa della mongolfiera Lun
“Hogarth, Reynolds, Turner. Pittura inglese verso la modernità”.
(fino al 20 luglio 2014).
Testo di Luisa Chiumenti
Palazzo Sciarra ha apero i suoi spazi espositivi su una mostra di largo respiro, che già nel titolo “Hogarth, Reynolds, Turner. Pittura inglese verso la modernità”, ha espresso il filone di approfondimento portato avanti dai curatori, Carolina Brook e Valter Curzi, su questo periodo della pittura inglese, che si realizzò nel XVII secolo contemporaneamente alla forza egemonica conquistata dall’Inghilterra sul piano storico-politico ed economico. Se artisti come Scott, Marlow, Sandby, ai quali si aggiunge Canaletto, dopo il suo trasferimento in Inghilterra, si fanno testimoni di una “città in costante evoluzione, in cui fioriscono nuove infrastrutture e si creano nuovi spazi sociali”, è molto interessante quella “identità britannica”, che si formò attorno alla figura di Sakespeare costituendosi nel folto gruppo degli “Sakespeare’ s Painters, sui quali spicca la figura di Fussli con quel prodigioso “equilibrio fra tradizione classicista e immaginario nordico” che sarebbe finito con l’essere accolto anche dalla Royal Academy. Ed ecco quindi messa bene in evidenza in mostra, la popolarità del ritratto in Gran Bretagna nel Settecento, popolarità che nessun altro Paese in Europa ebbe in quel periodo, come fu ben sottolineato dall’anonimo autore di una lettera pubblicata nel 1712 nel periodico “The Spectator” di Sir Richard Steele, “… una nazione può eccellere in un genere di pittura, ed è possibile che altri generi trovino terreno fertile in diverse latitudini.
Allan Ramsay, Miss Janet Shairp, 1750
L’Italia primeggia tra tutte le nazioni per la pittura di storia; l’Olanda per i soggetti comici, l’eccellente e precisa esecuzione; la Francia per le scene vivaci, briose e vibranti; e l’Inghilterra per i ritratti […] poiché così come le antiche statue e i bassorilievi di cui l’Italia fa sfoggio sono importanti per i pittori di storia, i bei nobili visi che, va detto, abbondano in Inghilterra, lo sono per i pittori di ritratti; inoltre, abbiamo il più gran numero di opere dei migliori maestri nel genere di qualsiasi nazione”- Ma per questa interessantissima tematica, rinviamo il lettore al bel saggio di Brian Allen “Il ritratto nella Gran Bretagna del Settecento: teoria e pratica”. In esso leggiamo fra l’altro come William Hogarth (1697-1764), lamentasse il fatto che “la ritrattistica” rimanesse in Inghilterra, “la principale branca (dell’arte) attraverso la quale un artista può concedersi una vita dignitosa e l’unico modo attraverso il quale un amante del denaro [può] fare la propria fortuna”. Si verificava infatti che i ritrattisti venissero chiamati da una piccola cerchia di committenti entusiasti che accoglievano addirittura l’artista nel loro contesto domestico. E tuttavia ecco che cominciò ad affacciarsi, a cominciare dagli anni venti del Settecento, una nuova generazione di committenti costituita da professionisti, banchieri, avvocati, dottori e uomini di chiesa rappresentanti delle nuove con professioni, che fecero sfumare gradualmente la distanza tra l’aristocrazia e la classe media, sia a livello sociale che culturale. E in effetti l’Inghilterra fu allora l’unico paese dell’Europa continentale, in cui da un lato l’ aristocrazia intraprendeva con grande successo attività commerciali e industriali e dall’altro la classe media vedeva salire la propria posizione sociale “attraverso l’acquisto di grandi proprietà e l’acquisizione di titoli e seggi alla Camera dei Comuni”.
William Hogarth – Ritratto di gruppo con Lord John Herv
Da qui, ecco che numerosi studi di ritrattisti cominciarono a dar vita a una vasta e fortunata produzione, legata alla nuova, più corposa committenza. Una bella mostra quindi, assai ricca non solo a livello di immagini prestigiose, ma anche a livello storico-sociale. Ed è così che la committenza “si trasforma così in quella borghesia urbana, sempre più interessata agli artisti che riescono a evidenziare i nuovi costumi sociali e nuovi orizzonti filosofici e scientifici. “Attraverso il pennello di Hogarth, Reynolds, Wright of Derby, Zoffany e Füssli, le figure emergenti di industriali, scienziati, esploratori, oltre che di artisti, musicisti, attori e sportivi, diventano le protagoniste del percorso espositivo”. Il teatro shakespeariano porterà alla fama interpreti eccezionali, come l’attore Garrick, che diventerà il mito incontrastato di un pubblico sempre più vasto e partecipe, e fornirà una gamma di soggetti drammatici che il pittore Füssli riuscirà a tradurre in alcune delle scene più visionarie della storia della pittura, delle quali la mostra offre una notevole selezione. Ai generi prediletti nel contesto inglese, il ritratto e il paesaggio, l’esposizione dedica una rigorosa riflessione, riunendo i pittori principali, quali Reynolds, divenuto il ritrattista di maggior successo per aver conferito a questo genere i tratti del grande stile, o il rivale Gainsborough, uno dei massimi interpreti del ritratto in chiave naturalistica. Una carrellata che intende illustrare le numerose articolazioni sperimentate nel campo del ritratto, dal mezzo busto alla figura intera immersa nel paesaggio, ai gruppi, i conversation pieces, in cui famiglie o circoli di amici trovano un’originale forma di rappresentazione.Al paesaggio vengono dedicate le ultime tre sezioni, nelle quali si può osservare l’evoluzione di questo genere in direzione della modernità”.
John Constable, Il canale presso il mulino, 1810-1814
Anche dal punto di vista tecnico è da segnalare l’innovazione che si verifica nel fatto che gli artisti cominciarono a lavorare all’aperto, utilizzando tutte quelle nuove sensazioni luministiche del paesaggio e degli scenari sia inglesi che italiani, come dimostrano i raffinati fogli provenienti dal British Museum degli acquarelli e olii, conclusi poi nell’atelier di grandi maestri come Gainsborough, Wilson, Stubbs, Wright of Derby. Circa 100 le opere in mostra, provenienti, oltre che dal British Museum, anche dalla Tate Britain Gallery, il Victoria & lbert Museum, la Royal Academy, la National Portrait Gallery, il Museuma of London, la Galleria degli Uffizi, cui si unisce il nucleo di opere provenienti dalla importante raccolta dello Yale Centre for British Art. Da segnalare il prezioso Catalogo bilingue (italiano e inglese), curato da Carolina Brook e Valter Curzi, edito da Skira da cui vorremmo trarre una delle osservazioni del presidente della Fondazione Roma Professore Avvocato Emmanuele F.M. Emanuele, che ha voluto fermamente l’esposizione, insieme con la Presidente del polo Museale Romano, dottoressa Porro: “Il viaggio che i visitatori sono invitati a compiere nell’Inghilterra del Settecento è favorito da un allestimento che, come da lunga tradizione, la Fondazione Roma propone in ogni sua mostra con il duplice obiettivo di contestualizzare le sale espositive agli ambienti dell’epoca ed educare al bello riprendendo fedelmente alcune architetture, sia esterne, sia interne, di Robert Adam, come una delle più riuscite “sale doriche ”della Hall d’ingresso di Harewood House, nell’atmosfera inglese del Settecento”.
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