Una grandiosa Mostra a Padova.
Palazzo del Monte di Pietà. Piazza Duomo, 14
(fino al 19 maggio 2013)
Testo di Luisa Chiumenti
“Pietro Bembo e l’invenzione del Rinascimento. Capolavori di Bellini, Giorgione, Tiziano, Raffaello” è una grande esposizione che per la prima volta ricompone la straordinaria collezione di opere d’arte che il grande umanista Pietro Bembo (1470-1547) aveva raccolto per tutta la vita e poi custodito nella casa di Padova in cui si era trasferito nel 1521.
Si possono quindi oggi vedere a Padova, tali opere provenienti da musei di tutto il mondo, nella grande mostra accolta dal palazzo del Monte di Pietà, curata da Guido Beltramini, Davide Gasparotto e Adolfo Tura (curatori anche del bel Catalogo edito da Marsilio). La mostra è stata promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e ideata e organizzata dal Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio.
Ma se dalla biografia di Pietro Bembo sappiamo come egli non abbia seguito subito con il dovuto entusiasmo gli insegnamenti del padre, (coltissimo, che ricopriva alti incarichi al servizio della Repubblica) che esprimevano con forza quanto fosse importante una dedizione quasi esclusiva agli studi, già nel 1506, lasciando per spostarsi presso la corte di Urbino, sentì subito i grandi stimoli che avrebbero poi guidato tutta la sua vita non solo per “ambizione politica”, ma per immergersi totalmente nella cultura.
La data del 1506 rappresenta in effetti l’inizio dei primi grandi successi (segnalati anche da Baldassarre Castiglione nel suo “Cortegiano”, pubblicato più avanti), del Bembo come “poeta”, dopo che, fra l’altro aveva pubblicato (ancora a Venezia) “Gli Asolani”, un dialogo sull’amore in volgare, contenente anche alcune poesie.
Ma sarà il soggiorno romano del Bembo, ad essere suggellato da grandi cambiamenti ed eventi importanti; giunto nell’Urbe nel 1512 egli fu subito molto abile nel farsi accogliere dai più noti intellettuali e riuscì ad imporre le sue idee radicate sul “ciceronianismo”, che non riguardava soltanto “il modo in cui scrivere in latino, ma anche l’idea che in ogni attività umana si dovesse seguire un modello classico e perfetto. E queste idee corrispondono all’intento dello stesso Papa Leone X, che, appena eletto, volendo portare la cultura romana, da puramente da livello puramente “locale” a livello “nazionale” ed europeo.
Roma rappresentava infatti in quel momento la più importante fra le Corti della Penisola e nel marzo del 1513, Bembo ne diveniva un grande punto di riferimento culturale e sociale, con la nomina ottenuta quale Segretario del Papa.
Quando, per alcuni mesi, tra il finire del 1529 e l’inizio del 1530, personaggi illustri da tutta Europa giunsero a Bologna per assistere all’incoronazione di Carlo V, gli intellettuali italiani vi accorsero anche per celebrare Bembo.
L’impegno intellettuale più alto di Bembo fu allora la redazione delle “Prose della volgar lingua”, che egli ebbe modo di pubblicare nel 1525, una volta lasciata Roma e stabilitosi nella sua villa di Padova.
La casa di via Altinate a Padova, dove il Bembo dimorò ( indicata quale primo Museo del Rinascimento), divenne così scrigno prezioso delle collezioni d’arte, con la biblioteca, i giardini quali fondali per statue, ma anche luoghi per piante rare e preziose, persino per un orto botanico in anticipo su quello di cui si doterà l’Università di Padova dal 1546.
Qui aveva avuto dalla sua amante Ambrogina Faustina Della Torre tre figli, ma proprio uno di essi, Torquato, alla morte del padre, mise all’incanto e disperse i capolavori della collezione. Ora finalmente quei capolavori sono ritornati a Padova, con un raffinato allestimento dovuto a Jolli Allestimenti snc.
Uomo dalle forti contraddizioni, pragmatico e sognatore, “asceta e libertino”, “teorico dell’amore platonico e praticante di quello carnale”, anche nella lingua, pur veneziano, il Bembo sentiva l’influenza del toscano, pur intuendo anche la necessità di andare a studiare il greco a Messina con i dotti bizantini.
E’ così che numerosi tesori di archeologia ed eccezionali opere di artisti del quattro e cinquecento, ritornano oggi a Padova, provenendo da tutti i più grandi Musei d’Europa e degli Stati Uniti, insieme in una vera e propria “storia” che, seguendo il percorso della vita stessa del Bembo conduce il visitatore lungo il percorso di un’arte italiana, costruita sulle orme della classicità e declinata dal genio di architetti, pittori e scultori verso quelle eccellenze che ormai dovunque nel mondo si sarebbero legate indissolubilmente al nome “Italia”-
Poco più che ventenne, Pietro Bembo pubblicava il suo primo libro, dal titolo “Il sogno”, dedicandolo all’amico Girolamo Savorgnan; si tratta di poche pagine in cui egli immagina di sdraiarsi all’ombra di un albero e di avere una sorta di visione: la Virtù personificata, che lo esorta agli studi.
Ma ecco che, con le “Prose della volgar lingua” , il Bembo avrebbe anche gettato i fondamenti della cultura letteraria italiana e ancora, ciò che è molto bene rappresentato nella tela presente in mostra, il “Ritratto d’uomo con libro verde” del Giorgione (arrivato da San Francisco), sarebbe approdato alla “ invenzione” ( insieme con lo stampatore Aldo Manuzio), dei “libri tascabili”, le famose “aldine” che circolarono per tutta Europa nel Cinquecento, plasmando quindi la lingua letteraria degli italiani.
Considerato “la quintessenza del Rinascimento”, Pietro Bembo ebbe una vita culturalmente straordinaria e assai varia. Così, se visse alle corti di Ferrara dove passò giornate a discutere di poesia con Ludovico Ariosto ed amò profondamente Lucrezia Borgia , e poi ad Urbino, fu anche, a Roma, emerito segretario di Papa Leone X e poi cardinale di Santa romana Chiesa, e infine vescovo di Bergamo, carica che ricopriva al momento della sua morte.
Con le opere rinascimentali che vanno dai quadri di Hans Memling, Giovanni Bellini e Tiziano, ai disegni di Raffaello e Michelangelo, la mostra di Padova espone anche pezzi di arte antica e manoscritti rari, insieme a “curiosità”, come la ciocca di capelli biondi che Lucrezia Borgia regalò a Bembo ( e che lord Byron tentò anche di rubare, ma che fu poi trovata, dopo la morte dell’umanista, fra le lettere che Lucrezia gli aveva inviato, tutte scritte “in cifra”, per eludere la sorveglianza del duca di Ferrara Alfonso d’Este, marito di Lucrezia).
Ed ecco la Venezia quattrocentesca con le tele di Bellini e Giorgione e le testimonianze del lavoro innovativo e minuzioso di Aldo Manuzio e poi la Ferrara di Lucrezia Borgia, fino al rigoglio urbinate con figure come Raffaello, Perugino, Gian Cristoforo Romano e comunque sempre gli stretti legami con il Veneto evocati attraverso le opere di Sansovino, Giulio Clovio, Bartolomeo Ammnnati, Danese Cataneo.
La mostra si conclude nella Roma dei Papi e in particolare nella Roma di Papa Paolo III Farnese, con il Bembo ritratto da Tiziano in veste cardinalizia, accanto ad opere di Michelangelo e Sebastiano Del Piombo, ma anche con personaggi come un Raffaello ormai maturo, Valerio Belli o Giulio Romano che dominano comunque il panorama artistico di quegli anni.
Per informazioni:
Call Center: 049 877979005
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