Al Museo della Carta – Valle delle Cartiere – Toscolano Maderno. Il paese della carta. Tradizione e contemporaneità della carta giapponese attraverso le opere di Nobushige Akiyama. (fino al 15 ottobre 2017).
di Luisa Chiumenti
Siamo in una antica cartiera che ancora oggi produce carta a mano secondo le tradizioni occidentali ed è qui, presso il Museo della Carta, che la mostra di Nobushige Akiyama fa conoscere al grande pubblico opere d’arte fatte in carta a mano tradizionale del Giappone (Washi) in una mostra site-specific sia nella tematica che nell’allestimento espositivo.
Curata da Lisa Cervigni, Rosanna Padrini e Stefania Severi, l’esposizione, molto originale, chiarisce quanto sia importante e colmo di fascino quello che si può chiamare il vero e proprio “mondo della carta” in Oriente. Questa mostra, che segue, tra le tante, quella al Museo Nazionale d’Arte Orientale di Roma, presenta l’intero arco della sua produzione in carta fino agli ultimi lavori, forme geometriche in resina trasparente con carta interna resa visibile dalla luce a led. Nato a Yokohama in Giappone nel 1961, Nobushige Akiyama si è formato presso l’Accademia d’Arte a Tokyo, dedicandosi principalmente alla scultura e, per perfezionarsi volle trasferirsi a Roma e qui seguire presso l’Accademia, esponendo ben presto le prime sue sculture in bronzo e pietra. Contemporaneamente però aveva iniziato a produrre carta a mano tradizionale secondo antiche tecniche giapponesi e, usandola come materiale, cominciò a realizzare con essa sculture particolari, inusuali, intriganti, in forme che potevano anche essere sospese, vista la loro leggerezza. Attraverso la carta egli ha così mantenuto saldo il legame forte con la sua terra e dando anche vita ad un rapporto reciproco di conoscenza e d’arte fra Est e Ovest.
“Kami no Kumi, il paese della carta”: in Giappone la carta, prodotta da fibre vegetali, arrivata nel 610 dalla Cina (dove era già presente nel 105) si misurò subito con tecniche di fabbricazione molto più sofisticate giungendo ad una produzione così vasta da far sì che il paese stesso venisse definito il “paese della carta”: kami no kumi”. E’ interessante ricordare che, in un mondo come quello attuale che tanto si adopera per stimolare il principio del “riciclo”, proprio il Giappone, che continuò a produrre carta con fibre vegetali, sia stato il primo paese a “riciclarla”, già nel secolo XIV, per alleggerire gli archivi. Ed è proprio con la carta (carta a mano prevalentemente della varietà Kozo, realizzata con la corteccia del gelso) che Akiyama dà vita ad opere particolari, da grandi a piccole, davvero originali e “intriganti”, che, per la loro leggerezza, possono essere anche sospese, creando interessanti suggestioni. Ecco così nascere le sue sculture tridimensionali che variano dal geometrismo all’antropomorfismo e i suoi grandi pannelli, in grado di modificare l’ambiente in cui vengono posizionati. Con la carta egli crea anche scenografie ed elementi di costume per il teatro, maschere e libri d’artista.
Come si legge nel testo delle curatrici, i rilievi [dell’artista] “presentano forme che invitano alla meditazione. Entrare nel suo mondo è concedersi una pausa di riflessione, lontano da qualsiasi rumore e da qualsiasi elemento di irritazione; il materiale stesso, morbido e robusto al contempo, infatti, è atono, non crea riflessi e si presenta nei colori naturali o con lievissime colorazioni vegetali. I riferimenti estetici spaziano nella ricerca contemporanea, tra simbolo e geometrie, senza negare completamente la neo-figurazione, fino a rasentare la land art”. Nella sua creatività si coglie molto bene quello che è in effetti si è sempre manifestato come “l’ atteggiamento tipico della cultura Giapponese” in cui “la più progredita tecnologia convive accanto ad un giardino Zen.” Passato e presente si uniscono in ogni suo lavoro, ma in particolare nella sua ultima produzione, in cui, come sottolineano le curatrici: “forme geometriche in resina trasparente che includono variamente della carta Kozo resa visibile dalla luce a led che è parte integrante dell’opera stessa” …”fanno ritrovare l’equilibrio tra antico e contemporaneo, tra trascorso e attuale, tra Oriente e Occidente, quell’equilibrio che ci aiuta a vivere più serenamente e più pienamente, restituendo alla dimensione estetica la funzione di diffondere bellezza”
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