LA STORIA CON LA “S” MINUSCOLA
DI ANNA SPOLTORE
ARMANDO EDITORE, 10 EURO
Di Mariella Morosi
Una guerra non è mai del tutto archiviata se c’è qualcuno a ricordarne gli orrori, ma anche l’umanità e la solidarietà nata tra la gente che l’ha subìta, senza colpa né possibilità di orientarne o bloccarne l’incomprensibile percorso. Soprattutto lascia tracce difficili da dimenticare nella vita delle persone. Un bambino di 12 anni, 70 anni fa, l‘ha vissuta e da adulto ne ha parlato ad un’amica di famiglia che ha saputo ascoltarlo. Così è nato il libro: “Morbidone e le sigarette dei tedeschi”. La storia con la “s” minuscola. L’autrice è Anna Spoltore, giornalista e responsabile della comunicazione dell’Azienda Ospedaliera San Giovanni-Addolorata di Roma, e il bambino – che non c’è piu’- si chiamava Virginio Scafetta e abitava con la sua famiglia a Civita Castellana, un paesino laziale. Intorno al tavolo di cucina della loro casa contadina, nella convivialità dell’ora dei pasti, Virginio era solito raccontare la sua guerra, vissuta con l’ingenuità e spesso con l’incoscienza di un bambino che riusciva ad aggirare la sorveglianza dei soldati tedeschi in piccole missioni, riuscendo a “fregarli” e ottenendo da loro anche qualche introvabile e preziosa sigaretta per i grandi. Ma soprattutto emerge dal racconto la grande generosità di gente semplice, dai mestieri più umili, che ha fortemente rischiato la propria stessa vita per aiutare i partigiani dell’esercito di liberazione. La compagna di azioni “belliche” di Virginio era un’asinella paziente e devota, chiamata chissà perché, al maschile, “Morbidone”. Anna Spoltore, intorno a quel tavolo di cucina, ascoltava e poi prendeva appunti rivivendo una storia, tante storie, semplici e tragiche, che non sono nei libri, anche se sono puntuali ed esaustivi sulle macro-vicende dei popoli. Il volume è stato presentato a Roma nella sede del Museo Storico della Liberazione di Via Tasso dall’autrice, dalla scrittrice Elena Stancanelli e da Giuseppe Mogavero, membro del direttivo della struttura museale.
Il suo presidente Antonio Parisella ha moderato il dibattito mentre l’attrice Tiziana Foschi ha letto alcune pagine del libro. Non poteva essere trovata una sede più adatta per l’evento perchè il luogo oltre ad essere un museo è anche un monumento e un documento storico iconografico per il patrimonio di materiali, cimeli, raccolte bibliotecarie relativi alla Lotta della Liberazione di Roma (8 settembre 1943- giugno 1944) che portò alla costituzione dell’Italia repubblicana. Sulle mura di questo edificio, luogo di prigionia degli oppositori al regime nazifascista, sono ancora visibili i graffiti e le scritte disperate dei torturati. Ma questo libro, come è stato sottolineato da Giuseppe Mogavero, ha il pregio di restituirci dei pezzi non solo di memoria storica e sociale, ma anche rurale, tra boschi, carbonaie e neviere, in una frugale economia contadina di sopravvivenza.Ma come è nata l’idea del libro? “Ascoltavo quei racconti di Virginio – ha detto Anna Spoltore- tanto simili a quelli che riferivano i miei nonni in un’altra realtà geografica, in Abruzzo, ma non pensavo all’inizio di scriverne. Mi sentivo inadeguata, impreparata.
Anna Spoltore
Poi pian piano mi sono lasciata coinvolgere, resistendo alla tentazione di trasformarlo, di romanzarlo. Doveva essere, ed è, la testimonianza di un bambino. La mia più grande soddisfazione è stata quando Virginio ha visto le bozze in ospedale. Ha fatto in tempo a vedere l’abbozzo del ’suo’ libro, prima di andarsene”. Bellissime le pagine dell’incontro con un gruppo di prigionieri affamati, i viveri d’emergenza celati tra la paglia e caricati sulla groppa di Morbidone, le cotture del pane che avvenivano nei boschi approfittando del fuoco delle carbonaie, i percorsi notturni in missione tra le mulattiere per evitare le postazioni tedesche. Il coraggio di un ragazzino anche se misto ad incoscienza e ad inconsapevolezza del pericolo era un realtà quello di un uomo, sostenuto da tutto il tessuto sociale. Felice la scelta dell’autrice di raccontare in prima persona, come se a scrivere fosse Virginio e come se alla parola fine lei, concluso il suo compito, scivolasse discretamente fuori dal testo.