Fu Robert Capa, nel 1953, a reclutarlo nell’agenzia Magnum
Fino al 30 aprile una mostra al CAOS di Terni curata da Biba Giacchetti
Test di Michele De Luca
Tra ironia e partecipazione l’occhio fotografico di Elliot Erwitt (nato a Parigi nel 1928 da una famiglia russa di origini ebraiche, trascorre l’infanzia in Italia e si trasferisce definitivamente negli Stati Uniti nel 1939) ha osservato il mondo nel corso di quasi sessant’anni sbirciandolo con passione, ma spesso con un fine ed elegante divertimento che ha saputo trasmettere alle sue immagini, realizzate con perfetta scelta di tempi e grande senso della composizione: personaggi celebri o anonimi passanti, paesaggi posti nelle più lontane periferie del pianeta e banale quotidianità delle grandi metropoli, grandi eventi della “storia” e piccoli fatti di “cronaca”, tutti colti con il suo sguardo da bambino, sempre sorpreso e sempre emozionato.
Al CAOS – Centro Arti Opificio Siri di Terni (Sala Carroponte: informazioni www.caos.museum) con il titolo “Icons”, una bella mostra curata da Biba Giacchetti e promossa da Comune di Terni in collaborazione con Indisciplinarte su progetto espositivo di Civita e SudEst57, ne ripercorre la carriera e i temi principali attraverso oltre quaranta scatti da lui stesso selezionati come i più rappresentativi della sua produzione artistica. “Evento nell’evento”, l’esposizione in esclusiva di nove autoritratti, che si affiancano a immagini di paesaggi, di metropoli, a scatti di denuncia o di viaggio, fino alla famosa serie sui cani iniziata nel 1946, che vennero poi raccolti uno dei suoi libri più noti, To the dogs.
Con grande amore e consapevolezza del proprio ruolo, a cui ha guardato sempre come fonte di infinite e sempre nuove “rivelazioni”, con estrema fiducia nella sua capacità di arricchire le nostre percezioni, grazie anche alla sperimentazione di punti di vista insoliti e ad una cifra ironica che sa proiettare sull’apparenza del visibile una visione personale, egli riesce ad offrire tante ed originali “letture” di quel “mondo davanti alla mia porta” di cui parlava Paul Strand”, che rimane comunque sempre imprevedibile ed inafferrabile; ha scritto Erwitt: “ Nei momenti più tristi e invernali della vita, quando una nube ti avvolge da settimane, improvvisamente la visione di qualcosa di meraviglioso può cambiare l’aspetto delle cose, il tuo stato d’animo. Il tipo di fotografia che piace a me, quella in cui viene colto l’istante, è molto simile a questo squarcio nelle nuvole. In un lampo, una foto meravigliosa sembra uscire fuori dal nulla”. Il linguaggio privilegiato con il quale ha compiuto questa difficile impresa è quello dell’istantanea, da cui risulta tutta l’ironia di un universo congelato in pose bizzarre, ma anche l’insospettabile perfezione formale che può scaturire dal caso.
Da Jacqueline Kennedy a Marilyn Monroe fino a Che Guevara e Richard Nixon, fotografato durante un concitato dialogo con Nikita Krusciov nel 1959, sono numerose le celebrità che compaiono nel percorso di questa mostra. Su tutte Erwitt posa uno sguardo allo stesso tempo tagliente e pieno di empatia, dal quale scaturisce non soltanto l’ironia del vivere quotidiano, ma anche la sua complessità. Con lo stesso atteggiamento, d’altra parte, il fotografo concentra la sua attenzione su qualsiasi altro soggetto, senza alcuna differenza e portando all’estremo la qualità democratica che è tipica del suo mezzo. Il suo immaginario è infatti popolato in prevalenza da persone comuni, uomini e donne, colte nel mezzo della normalità delle loro vite, ma anche di animali, cani soprattutto, cui Erwitt dedica nel tempo una serie di veri e propri ritratti; fra gli scatti più celebri c’è quello di un chihuahua vestito con tanto di cappotto e cappellino e messo di fianco alle zampe di un altro cane di grossa taglia e alle gambe della padrona tagliate dall’inquadratura. Passato il riso del primo impatto, rimane l’evidenza dei fatti (o soltanto l’illusione della fotografia?): stanno tutti sullo stesso piano.
La mostra richiama alla memoria la grande antologica curata da Denis Curti alla Casa dei Tre Oci a Venezia e al bel volume, anch’esso intitolato Icons, che in quell’occasione venne curato dalla stessa Biba Giachetti per Silvana Editoriale, in cui le immagini, venivano affiancate da un ricordo o da un commento del fotografo, e che pertanto può fare da ottima guida nella visita della mostra. Ad esempio, sulla foto del bambino di colore che si punta la pistola sulla tempia (Pittsburgh, 1950), il volto illuminato da un dolcissimo sorriso, Erwitt dice: “Credo che sia la mia foto preferita … non c’è molto da dire se non che la puoi interpretare nel modo che preferisci: puoi pensare che sia divertente o stupida, o drammatica, e in tutti i modi funziona”. Commentando un suo bellissimo ritratto di Che Guevara realizzato a L’Avana nel 1964, presente in mostra, ricorda la sua impressione personale sul “Comandante”, insieme al quale, e a Fidel, trascorse un’intera settimana: “Era freddo, stava sulle sue, non dava una grande confidenza”. E sulla famosa “foto di gruppo” scattata a Reno nel Nevada nel 1960 sul mitico set del film Gli spostati, in cui compaiono Arthur Miller, John Huston, Eli Wallach, Marilyn, Clark Gable e Montgomery Clift, il fotografo commenta: “Questa foto è famosa non perché sia una bella foto, ma perché è piena di personaggi famosi, forse perché ho raggruppato tutto il cast, e non è stata una cosa semplice riuscire a riunirli tutti, erano personalità piuttosto individualiste”. Un libro utilissimo, oltre che piacevolissimo, per entrare nel mondo del lavoro di Erwitt e per coglierne “dall’interno” il suo più autentico e originale modo di intendere e praticare la fotografia.