L’architetto e pittore svizzero nella sua prima personale a Venezia
Le sue opere esposte alla Schola dei Tiraoro e Battioro
Testo di Giulio D’Aquino
Quella dell’architetto e pittore svizzero Sandro Zendralli (nato a Mendrisio, Canton Ticino, l’11 aprile del 1946) è decisamente una sorta di sfida (per alcuni, forse, ai limiti dell’utopia) sulle possibilità per la pittura di svolgere ancora un ruolo primario nel mare magnum del variegato panorama del “fare arte” contemporaneo. La sua ricerca e la sua produzione artistica stanno lì a dimostrare che quella che è la più antica forma di espressione creativa e artistica dell’uomo, che dalla preistoria ne accompagna il cammino e ne soddisfa la primordiale esigenza di “rappresentare”, continua ad avere la sua estrema validità. Dalle sue opere si evince che dipingere per lui, oltre alla parallela avventura dell’invenzione architettonica, costituisca il “territorio” che gli consente di proiettarsi e immergersi in uno spazio immaginativo, sperimentale e creativo, nella dimensione forse più originale, rassicurante e insieme inquietante; tanto che ogni opera è per lui una nuova avventura esistenziale, culturale ed estetica.
L’occasione offerta dalla sua prima mostra personale dal titolo “Dipingere la pittura”, curata da Enzo Di Martino e allestita a Venezia, nella settecentesca Schola dei Tiraoro e Battioro (attribuita all’architetto Giacomo Gaspari), ubicata tra l’ imponente chiesa barocca di San Stae e il Museo d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro, con le sue trentacinque opere esposte (oli su tela di medie e grandi dimensioni, realizzate negli ultimi cinque anni) conferma quanto Zendralli affidi proprio alla pittura la manifestazione leggibile del suo personale mondo immaginativo e la descrizione visiva delle sue più riposte e segrete spinte emozionali. Che è poi l’aspetto più interessante e insostituibile della pittura, per la sua specificità linguistica, pronta ad “adattarsi” a descrizioni, immaginazioni, sperimentazioni infinite fin da quando il dipingere era tramite e racconto di divinità e mitologie.
Ma perché, dipingere la pittura, come suggerisce il titolo della mostra? Lo spiega Di Martino nel suo intenso e pregnante testo di presentazione, quando scrive che “da quando la pittura è scesa dalle pareti dei palazzi nobili e delle chiese, cioè dagli affreschi e dai “teleri” che decoravano i muri delle grandi strutture architettoniche, per depositarsi infine nei dipinti pensati e realizzati nella solitudine ansiosa dello studio”, il problema non è stato più quello della rappresentazione visiva dei grandi eventi storici e di dare volti credibili ai protagonisti di quelle storie ma di “dipingere la pittura”, vale a dire di affidare cioè la sua sensibilità e la sua emotività al linguaggio della pittura, che viene così ad acquistare “una nuova centralità fatta di una inedita e sorprendente autosufficienza espressiva: appariva cioè, improvvisamente evidente, che la pittura non era più soltanto il linguaggio e lo strumento della rappresentazione, ma poteva essere, invece, la pura rappresentazione di se stessa. L’opera pittorica di Sandro Zendralli si colloca con tutta evidenza all’interno di questa nuova storica condizione creativa con la quale egli si misura avendo però sempre ben chiara la consapevolezza che l’arte nasce solo e dalla storia dell’arte”.
Zendralli, dopo gli studi di architettura a Lugano e Zurigo, torna in Ticino e opera come architetto per circa quarant’anni, realizzando le più belle urbanizzazioni di Bellinzona, in uno sforzo continuo e appassionato di armonizzare l’architettura con il territorio. L’espressione pittorica è tuttavia la prima forma di creatività che nasce in lui sin da giovanissimo e che lo accompagna fino ad oggi in un percorso che vede intrecciate e unite, in una sorta di simbiosi la pittura e l’architettura. Per ancora meglio comprendere il mondo creativo di Zendralli, vale la pena di segnalare la bella monografia pubblicata da Electa nel 2014, The creative impulse, scritta da Alan Jones, scrittore, critico e curatore di mostre d’arte, da sempre uno dei massimi conoscitori della Pop Art.
Per scriverla, Jones, si è trasferito a San Bernardino nella Valle dei Grigioni in Svizzera in un luogo magico in mezzo alle montagne, dove la natura è invasiva e avvolgente, ed è entrato in simbiosi con l’artista nella sua fucina/laboratorio, immergendosi in un mondo creativo fatto di visioni oniriche, moti passionali, approcci infantili e cogliendone il fascino di un modo antico e purissimo di fare arte: “Nel dipingere – gli ha detto Zendralli – proietto verso l’esterno tutto ciò che ho dentro, senza pensarci due volte, esattamente il contrario di quello che faccio con le mie architetture. Il mio modo di dipingere è spontaneo,mirato alla mia gioia personale”. Da parte sua Jones ha affermato: “La sua pittura costituisce pagine di un calendario di visione poetica senza secolo. Appartiene a coloro che, come diceva un grande poeta svizzero, Blaise Cendrars, vivono veramente / ma rimangono innamorati del modo”.
La trasfigurazione pittorica e poetica inseguita con spirito di ricerca e di inesauribile sperimentazione fa sì, come ci dice ancora Di Martino, che nelle sue opere “la natura assuma la connotazione di un particolare linguaggio, mentre la cultura visiva, cioè la pittura, diventi un elemento naturale della sua espressione.
All’interno di questa complessa strategia espressiva l’artista svizzero si serve di differenti gesti pittorici – a volte con accentuati valori segnici, altre volte per ottenere piccole e seducenti campiture di colore – che concorrono tutti, nell’insieme, a configurare il carattere, per certi versi indecifrabile e perfino misterioso, delle sue immagini”. E’ in definitiva nell’attrazione fatale verso il colore, verso questo territorio ancora tutto da sondare e da esplorare a connotare l’indagine inesausta di Zendralli, in un percorso senza traguardi definiti, in cui è una sorta di cromatismo interiore a “pretendere” di proiettarsi verso l’esterno, a tradursi in forma di comunicazione e di espressione, in maniera non predefinita o “progettata” – come avviene in genere nel lavoro dell’architetto – ma lasciato totalmente alle pulsioni del momento, del “qui e ora”. Dice l’artista: “Oggi ho cambiato completamente e uso i colori, quelli che provengono dal profondo del mio essere, senza alcun collegamento con il mio passato”.
http://www.zendralli.ch/
Informazioni sulla mostra:
Schola dell’Arte dei Tiraoro e Battioro
Campo San Stae, 1980 Venezia
Vaporetto linea 1, San Stae
Opening
16 Aprile
ore: 18.00 – 20.00
Date
Dal 16 aprile al 15 maggio 2016
Mar – Dom 11.00 -18.00