Gli ultimi lavori di Ana Tzarev al Museo Diocesano di Venezia
Testo di Michele De Luca
L’esperanto è una lingua pianificata tra il 1872 e il 1887 dall’oftalmologo polacco di origini ebraiche Ludwik Lejzer Zamenhof, allo scopo di far dialogare i diversi popoli cercando di creare tra di essi comprensione e pace con una seconda lingua semplice ma espressiva, appartenente all’umanità e non a un popolo. E’ quanto viene subito in mente guardando questo variopinto mondo floreale che si concretizza nelle opere di Ana Tzarev raccolte nella mostra allestita nelle sale del prestigioso Museo Diocesano Sant’Apollonia a Venezia, presso il Ponte della Canonica a pochi passi da Piazza San Marco (occasione per ammirare anche il chiostro romanico più antico di Venezia); con il titolo “ The life of flowers”, vengono esposti, per tutto il periodo della Biennale, gli ultimi lavori della pittrice croata, ma naturalizzata americana, che si caratterizzano per una particolare attenzione verso i fiori, con pennellate precise e vivaci, tinte luminose che riscrivono profili, forme e contenuti di immagini materiali. I soggetti della Tzarev si inseriscono in una tradizione che è possibile rintracciare nelle ninfee di Monet, nei fiori futuristi di Balla, in quelli intimisti di De Pisis, nei vasi di fiori di Buffet, in quelli secchi di Mafai o rigogliosi di O’Kleefe, fino a quelli carichi di morte di Warhol. Come ha scritto Edward Lucie-Smith, “Ana Tzarev è una pittrice dinamica e visionaria perché ha un costante desiderio di ricreare nelle sue opere, attraverso un particolare linguaggio dell’immagine, la realtà che la circonda”. I suoi fiori prendono forma quasi come su un palcoscenico, diventando gli attori protagonisti di una narrazione che è costituita da cambi di modulazione continui e da prospettive di luce che avvolgono le opere dal di dentro per poi condividerne il calore e la limpidezza. Nitide le scelte prospettiche, sereni gli spunti di osservazione, arricchiti da una materia densa che dà valore alle persone e alle cose.
La Txzarev, nata nel 1937 in Croazia, ha vissuto per molti anni in Nuova Zelanda ed è conosciuta per i suoi dipinti di grandi dimensioni, caratterizzati da colore puro e vibrante e da densità materica, con risultati assai riconoscibili quanto a impronta stilistica e potenza emotiva delle immagini in cui ha rievocato ritualità e vita quotidiana di villaggi fuori della storia, riflettendo nella propria pittura una notevole curiosità e conoscenza della vita e delle tradizioni culturali dei paesi che ha visitato. “I miei quadri – ci ha detto – raccontano storie ricche di diversità, i costumi e le tradizioni che la civiltà forma nel tempo. Ho documento la cultura di oggi per le generazioni future in modo che possano guardare indietro con orgoglio il proprio patrimonio e anche apprezzare le diverse culture che arricchiscono il mondo”.
Profonda conoscitrice di storia e antropologia culturale di terre diverse come l’Africa, il Giappone, le Hawaii, la Thailandia, la pittrice rimane quasi avvolta in una dimensione ineffabile, evasiva, impalpabile, tanto quanto carnali ed evidenti sono i suoi fiori; questa sua ossessione è un mezzo per arrivare ad una sorta di armonia universale. Le sue opere sono chiaramente riconoscibili per la loro vivacità di colori e l’abbondante uso di tonalità, come ha sottolineato il critico russo Alexander Borovsky descrivendone lo stile: “Ana Tzarev ha imparato come “catturare” le tecniche pittoriche molto rapidamente. Ha sviluppato uno stile potente e gestuale con una energia non dissimile da quella caratteristica dei post-impressionisti: un colore aperto, un tratto di pennello tridimensionale, o meglio, un fuoco di colpi alla deriva nello spazio ottico, un trionfo dell’approccio de-riflettente, spinto verso l’acquisizione e la padronanza di segnali della natura”. L’opera centrale della mostra è una grande scultura in fibra di vetro, una delle tante della serie di fiori dalle dimensioni di 15 piedi, creati dall’artista come parte di una speciale mostra in tutto il mondo: i fiori di “Love & Peace” sono stati presentati in numerosi spazi, come il London Park Lane, Roma, New York, Shezhen, Cina e Singapore. Quella che l’artista vuole affermare è dunque la capacità dei fiori di creare un linguaggio comune tra le diverse culture, ricreando sulla tela, con spesso e vivace cromatismo, una varietà di fiori provenienti da tutto il mondo, a testimonianza dell’importanza dell’arte come forza creatrice di positività e comunicazione interculturale. Ha scritto Marco Tonelli: “Più di fiori, ad essere onesti, questi fiori di grandi dimensioni notevoli assomigliano le fauci di animali selvatici minacciosi e desiderosi, e anche volti umani pieni di vita e di passioni e, infine, i sentimenti, gli eccessi del corpo e della psiche. Ecco allora la dimensione metaforica segue quella storica, in cui il fiore è anche un cliché della femminilità, di bellezza e fragilità, di ciò che è fugace, stagionale e deperibile, pulsante e impaziente”.
Il suo è un gradito ritorno nella città lagunare dove l’anno scorso, nella stessa sede di Sant’Apollonia presentò una avvincente serie di opere raccolte nella mostra “Masterpiece Theatre: Legends of the Kabuki Stage”, in cui allineava dipinti influenzati dall’interesse dell’artista Ana Tzarev per la cultura, la storia e l’arte Giapponese. Queste opere erano il risultato dei suoi numerosi viaggi in Giappone che l’hanno portata a sviluppare un profondo rispetto per le persone e la cultura di quel paese; con i suoi dipinti l’artista catturava l’essenza – per trasmetterla alle future generazioni – del teatro Kabuki, vanto della storia e della cultura giapponese, nato nel 1603, precisamente quando la nazione è stata unita sotto lo “shogunato” di Tokugawa, rimasto alla guida del paese fino al 1868. Ciò anche a testimonianza della poliedricità e del vasto orizzonte culturale della Tzarev, che in queste opere riusciva a rappresentare lo stato emotivo degli attori, con figure potenti, per la realizzazione delle quali l’artista riusciva mirabilmente ad unire la sua caratteristica vivacità cromatica ad una forte densità materica attraverso una pennellata precisa e decisamente “teatrale”.