Francesca Coiro Cecchini
Edilazio
di Luisa Chiumenti
L’Autrice fa penetrare il lettore nell’atmosfera che circonda l’architettura del Settecento romano. E tra le righe, un semplice commento, una frase che si coglie inaspettata, fra la descrizione di elementi architettonici, illustra in modo efficace quanto quel particolare intervento architettonico o urbanistico, abbia avuto nel tempo un importante impatto ambientale e soprattutto sociale sulla città.
E’ da notare come la Coiro Cecchini, già nel suo primo libro rivolto alla “Architettura liberty a Roma”, abbia pienamente configurato quale sia stato il rapporto di ogni altro stile in Roma, con quello in effetti prevalente, del periodo barocco e del cosiddetto “barocchetto”.
Altra particolarità del suo modo anche di citare le osservazioni di critici di chiara fama, ella sceglie quelle espressioni che maggiormente mettono in evidenza il rapporto stretto esistente fra l’individuo “che osserva” e il monumento che occupa quella determinata area storica: l’una e l’altra determinano, nel momento della osservazione un “unicum” speciale, sia pure impalpabile, che esalta e vivifica il manufatto artistico.
Così, nella sua introduzione in cui si sofferma ancora sul barocco, parlando dell’intervento del Bernini a San Pietro, cita un commento di Argan che dice come il Bernini abbia “trasformato l’ordinamento prospettico in un incalzante “succedersi di ondate luminose” e ancora dirà di lui che fu “pittore, scultore, architetto, scenografo, padrone di una tecnica che gli consente di tradurre in immagini reali ogni idea”. Come scultore controlla perfettamente il marmo, che diventa panni, carne, foglie, lacrime e come architetto controlla perfettamente lo spazio che all’occorrenza modella, ritma, crea artificiosamente”.
Analogamente la Coiro Cecchini in pochi tratti sa stigmatizzare il modo di lavorare del ticinese Borromini, nei suoi atteggiamenti nei confronti dello spazio perché “ se Bernini lo dilata, lo modella, ne ricrea prospettive scenografiche, “ invece Borromini lo frantuma in un gioco continuo di sporgenze e di rientranze” o “lo avvita su se stesso” come nella cupola di Sant’ Ivo alla Sapienza.
Ed eccoci di fronte agli importanti interventi urbanistici che caratterizzano la Roma del ‘770.
E l’Autrice si occupa poi da vicino di un elemento urbano che rappresenta le nostre città storiche e in particolare Roma: la piazza. Ed ecco che coglie soluzioni urbanistiche di grande respiro come quella della fontana di Trevi o della scalinata di Piazza di Spagna, con la tipica atmosfera di grande internazionalità, che mantiene ancora oggi ; con “l’andirivieni fitto fitto e vociante” di turisti stranieri e dei cittadini romani” , e la presenza materiale di edifici come l’Ambasciata di Spagna presso la Santa Sede o la chiesa della Trinità dei Monti, costruita con il patrocinio del re di Francia Luigi XII e, poco oltre, la Villa Medici, sede dell’Accademia di Francia. Per non parlare della presenza inglese con Keats che visse e trascorse i suoi ultimi giorni nella palazzina rossa accanto alla scalinata oppure a sinistra della scalinata, la sala da tè Babingtons, tuttora ritrovo assai raffinato. Aleggia quindi l’atmosfera creata da tanti che la studiarono da vicino “vivendola” intensamente, attratti tutti anche dallo storico Caffè Greco, poco più avanti su Via Condotti.
La lettura dell’agile volumetto porta quindi ad una conoscenza diversa della Roma del ‘700, in certo modo accompagnati dal passo attento di quanti l’hanno attraversata nel tempo, e che ad ogni angolo pare abbiano lasciato il proprio commento condiviso con tanti altri viaggiatori.