A cura di Luisa Chiumenti
Immagini: Disney l’arte di raccontare storie senza tempo Palazzo Ducale – Genova
Francesco Murano, un architetto che “lavora” con la luce ed ogni suo “progetto di luce” è realizzato all’insegna dell’ecosostenibilità e del risparmio energetico. Ma questo particolare e innovativo processo creativo scaturisce da una attenta formazione, iniziata a suo tempo con una laurea in architettura conseguita presso la Facoltà di Architettura di Roma, seguita poi dal diploma di Master in disegno industriale presso la Domus Academy di Milano ed il titolo di Dottore di ricerca in Disegno Industriale presso il Politecnico di Milano con una tesi dal titolo assai significativo di “Le figure della luce”. Da qui una esperienza dopo l’altra, l’architetto ha sempre più approfondito i suoi preziosi intuiti e le applicazioni tecnologiche, attivandosi in una serie di incarichi, che lo impegnano da protagonista nella realizzazione dell’illuminotecnica per oltre 150 mostre temporanee in Italia e all’estero. Numerose altre attività lo vedono in prima linea sul piano didattico, sia presso la facoltà di Architettura al Politecnico di Milano, e presso la facoltà del Design nella sede di Como, per non parlare dell’attività didattica a Torino, Venezia e in numerose altre sedi universitarie. Né sono da dimenticare i suoi numerosissimi scritti, fra cui segnaliamo in particolare il testo dal titolo “L’illuminazione delle opere nelle mostre d’arte” edito da Maggioli e il grande interesse che hanno da anni suscitato i molti brevetti da lui depositati, come ad esempio quello dal titolo: “ICE BLOCK” , l’originale “contenitore per liquidi con sistema di bloccaggio del refrigeratore”. Molti i riconoscimenti ottenuti, fra cui ricordiamo come il Museo di Gerusalemme abbia incluso la sua “lampada sistina” nella collezione permanente di design contemporaneo e segnaliamo come l’architetto Murano sia stato vincitore del concorso internazionale Sharp Design Contest indetto dalla multinazionale Sharp per la progettazione di un sistema di illuminazione a LED per uffici. Ascoltare le sue parole mentre illustra in modo chiaro e appassionato il complesso così variegato delle sue numerose esperienze, permette di entrare in un mondo imprevedibile, che tuttavia è quello che permette ad ognuno di noi, di godere appieno di quanto la luce, debitamente “impegnata”, faccia risplendere le opere esposte, nel modo giusto.
Ed ecco ora alcune domande rivolte all’architetto Francesco Murano per comprenderne il particolare percorso progettuale come Light Designer.
– Quali sono, in sequenza, i “passaggi” che caratterizzano la progettazione che viene affrontata da un Light Designer e , nell’arco del tempo e della esperienza, si è delineata una sorta di “protocollo” da seguire o, volta a volta, ogni progetto si configura come un “unicum”? In pratica: quali sono le fasi con cui si può affrontare un progetto di light design; c’è una sorta di percorso che è possibile seguire, oppure ogni volta tutto va affrontato “ex novo”?
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Credo sia possibile individuare un percorso delineato dalla pratica in molti anni di esperienza; esistono infatti dei passaggi obbligati che prevedono alcune azioni preliminari e che riguardano in genere l’analisi del luogo sede dell’esposizione, lo studio delle opere esposte, la comprensione del taglio critico adottato dal curatore, la presa visione o meglio la condivisione del progetto espositivo.
– Quale è stato il primo progetto? E come si è formulato l’incarico, cioè, nella committenza erano già presenti particolari richieste oppure la realizzazione del progetto è nata dalla creatività innovativa dell’architetto?
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Il primo progetto è nato per caso, dai miei studenti del master IDEA in allestimento del Politecnico di Milano che mi hanno chiesto qualche consiglio per partecipare al concorso per la realizzazione della mostra di Edward Hopper bandito dalla Fondazione Roma ed aperto alle scuole di design. Io ho dato volentieri qualche suggerimento e gli studenti, ma sicuramente non per merito mio, sono risultati vincitori e così mi sono ritrovato per la prima volta a dover illuminare una mostra d’arte.
– L’ambiente in cui si deve operare è certamente molto importante per le scelte da attuare. Percorrendo la prestigiosa sequenza dei suoi interventi, si può notare la varietà dei luoghi in cui ha operato e si nota altresì come si tratti quasi sempre di palazzi storici. C’è un rapporto diretto con il taglio di tali palazzi, con le ombre che creano contrasti più o meno forti tra le pareti possenti del Palazzo Reale di Milano o l’aerea atmosfera soffusa dalla Ca’ d’Oro a Venezia oppure il gioioso percorso da illuminare all’interno dell’Hotel Liberty di Roma?
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Sono convinto che ogni luogo abbia una propria anima e che tale anima vada rispettata, illuminare delle opere d’arte in una sede storica vuol dira costruire un equilibrio dinamico e narrativo tra la visione del luogo, che non deve prevalere su quella delle opere e la visione delle opere che devono dialogare con lo spazio espositivo e con le preesistenze architettoniche.
– E sul piano didattico, come si svolge l’insegnamento di un Lighting designer; è giusto pensare che si tratti di una sperimentazione continua “sul campo”?
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Insegnare a comprendere la luce vuol dire svelare una dimensione tanto naturale quanto sconosciuta, la luce, come l’aria, è un elemento talmente connaturato ed essenziale che ci accorgiamo della sua presenza solo quando viene a mancare, per questo l’apprezzamento delle sue manifestazioni implica una conoscenza consapevole e attenta alle molte diverse luci che continuamente si presentano alla nostra vista ma che quasi mai riusciamo coscientemente a distinguere.
– Nell’ambito della ricerca, allo scopo di trovare gli elementi tecnologici e le apparecchiature più adatte alla realizzazione di determinati progetti, l’architetto Murano ha trovato una giusta e corretta collaborazione da parte delle Ditte costruttrici?
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No, le ditte costruttrici sono molto interessate al marketing e poco alla qualità dei prodotti per l’illuminazione museale, io utilizzo degli apparecchi sconosciuti ai più e in genere dedicati all’illuminazione teatrale; per fare solo un esempio non esiste un solo apparecchio tra quelli molto pubblicizzati come “dedicati all’arte” che abbia sia la sede per inserire dei filtri in gelatina che le “alette” per modificare il fascio luminoso. In realtà quasi tutti gli apparecchi che vengono proposti per l’illuminazione museale sono progettati per i negozi che costituiscono un settore di vendita molto più importante.
– L’indubbia necessità di padronanza di numerose competenze tecniche relative sia alle caratteristiche della luce naturale che a quelle della luce artificiale, penso che possano a volte limitare la spontaneità e l’efficacia di un impulso creativo: come si può contrastare eventuali freni o difficoltà di attuazione dei propri impulsi creativi?
Alessandro Mendini diceva che più sono i vincoli e meglio viene il progetto. Superare i vincoli vuol dire spesso fare degli stessi un elemento progettuale come è stato per me, ad esempio, quando ho illuminato dall’esterno di una finestra le opere di Giorgione e di Bosch a Palazzo Grimani.
– La creatività di un architetto, messa a frutto fin dalla frequentazione della facoltà stessa, deve sempre tener conto della tecnica, sottesa da qualsiasi intervento, dalla corretta conoscenza della quale, dipendono spesso le giuste risposte; in particolare , “lavorare con la luce”, che potrebbe sembrare ai non addetti ai lavori, un approccio addirittura fantasioso o irreale, non crea invece, una sorta di “marcia in più”, che è in grado di costituire un filtro molto speciale, soprattutto nel caso delle mostre d’arte, fra il progettista ed il fruitore delle opere esposte? E in che modo un light designer riesce a dare vita a un tale fluido?
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Uno dei motivi per i quali si visitano le mostre d’arte è proprio la volontà di mettersi in contatto con l’autore, lo stare di fronte all’opera “reale” vuol dire anche immaginare l’artista mentre la compone, in questo senso il rapporto tra il fruitore e l’opera d’arte è di tipo empatico e coinvolge anche l’autore. Il mio lavoro favorisce questo incontro evitando riflessi o ombre che impediscano la perfetta visione dell’opera ed è questa anche la ragione per la quale non amo una luce che diventi protagonista distraendo il visitatore e interferendo nella sua relazione con l’autore.
– Premesso che ogni luogo, sia esso uno spazio per un’esposizione, o un intervento di interior design, offre una sua determinata ed irremovibile “staticità”, prevederne l’animazione attraverso un progetto di light design, comporta una serie di numerosi sopraluoghi? In genere, si ha subito una intuizione globale, oppure bisogna procedere per piccoli passi e prove successive?
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L’idea di come dovrebbe essere illuminata la mostra nasce dal confronto con l’autore dell’allestimento e con il curatore, i piccoli passi riguardano in genere le possibilità economiche e tecniche di realizzare compiutamente l’idea e per questo sono indispensabili i sopralluoghi, in genere si trova una soluzione accettabile che qualche volta è migliore di quella che si è concepita inizialmente proprio perché i vincoli favoriscono la creatività e rappresentano quindi una sfida continua e interessante per me e per il mio lavoro.