Testo di Teresa Carrubba
Da sempre simbolo del gusto per il pregiato, per la raffinatezza discreta: la seta. Singolare regalo di un baco che lavora nel segreto silenzioso di un bozzolo, il suo alambicco per creare il miracolo.
Furono i cinesi, 5000 anni fa, che per primi scoprirono il mistero di quel bozzolo e di quella meraviglia che se ne poteva ricavare. E scoprirono che a crearlo era un semplicissimo baco, il bombyx mori. I bachi, poi, si moltiplicarono, uscivano dalle uova in primavera, venivano nutriti con cura con foglie di gelso, e cominciavano a secernere una sostanza filamentosa con cui si avvolgevano in un pregiato gomitolo. Il bozzolo, appunto.
Da qui alla produzione della seta. Una tecnica che rimase a lungo un segreto, in un alone fascinoso, tutto orientale. Almeno fino a quando la sposa di Huangdi, il mitico Imperatore Giallo e padre della civiltà cinese vissuto intorno al 3.000 a.C, non cominciò a parlarne. La tessitura della seta si sviluppò nelle regioni meridionali della Cina, che in epoca storica diventeranno i principali centri di produzione del prezioso tessuto: Hangzhou e la regione del Lago Tai e, a ovest, risalendo il corso del Fiume Azzurro, Chengdu, la capitale della provincia sudoccidentale del Sichuan.Si andava tracciando la mitica “Via della Seta”. Un filo lucente, raffinato e resistente, che imbocca sentieri preziosi, fino ad uscire dall’Oriente e raggiungere l’Europa.
La fama di quel pregiato tessuto ebbe un’eco vastissima tanto da indurre i potenti con uno spiccato senso degli affari, a incredibili strategie per carpirne i segreti dalla Cina. Mosse astute a volte assimilate alle leggende. Come quella di due monaci che, nel 552, tornarono dall’Asia con le larve del baco nascoste dentro i loro bastoni di bambù per esportare la tecnica dell’allevamento in Occidente. Il segreto della tessitura, invece, prese strade più larghe. Giunse in Asia Minore grazie ai traffici commerciali esistenti tra la Cina e la Persia; e in Occidente in un tempo successivo, con la collaborazione dei commercianti, per le strade denominate la “Via della Seta”. La dominazione araba nell’Africa Settentrionale e in Spagna introdusse in questi paesi la sericoltura (la coltivazione del baco da seta, appunto) e l’Occidente cominciò a fabbricare seta. Nel X secolo, il maggior centro europeo di produzione era l’Andalusia. Con l’incremento degli scambi commerciali tra Oriente e Occidente, l’uso di questo filato si diffuse sempre più e, agli albori del XII secolo, l’industria della seta fece la sua apparizione anche in Italia.
Un’attività ben accetta in un Paese che, già ai tempi dell’Impero Romano accolse la seta orientale con gran clamore. Almeno tra i ceti più abbienti che potevano permettersi un tessuto allora così prezioso. Una stoffa da imperatori, addirittura, se è vero che Giulio Cesare fece sensazione andando a teatro con indosso una toga in seta operata. Da allora la nobiltà tutta volle possederne facendola diventare uno status symbol dell’epoca. Al punto da creare un deficit nell’Impero romano, per via del suo prezzo che pareggiava quello dell’oro: subito nacque un decreto riparatore da parte del Senato che proibiva l’acquisto di capi in seta. Ma si sa, da sempre l’aristocrazia è capricciosa e tanto protestò che quel divieto fu subito annullato.
E quella moda durò a lungo, tant’è che fino al XIII secolo le sete più pregiate furono importate in Europa dall’Oriente per vestire principi e re. Ma poi inizia seriamente la lavorazione europea. I primi centri italiani dove si lavora la seta, tra la fine del IX e i primi anni del X secolo sono Catanzaro e Palermo, per via del fatto che Catanzaro era sotto il dominio dei bizantini e Palermo era araba, quindi tutte e due strettamente legate a culture orientali allora molto forti. La lavorazione della seta si consolida a tal punto che, nella prima metà del XII secolo, il re normanno Ruggero II organizza una vera e propria industria serica collegata.
In seguito l’industria della seta in generale si sviluppò, soprattutto nel XIV secolo. In Italia, per esempio, al filatoio da seta inventato a Lucca, macchina che torceva contemporaneamente decine di fili, fu applicata la ruota idraulica costruita a Bologna. Una sorta di mulino da seta. Bologna è stata per secoli la città della seta, i suoi filati venivano venduti ai dogi di Venezia o scambiati con spezie e sale. E si esportavano sul grande mercato internazionale, in Francia, Germania, Inghilterra e paradossalmente, persino in Oriente. Le prime sete prodotte in Italia furono lavorate in base a una tecnica già in uso nel 1200 chiamata diasper, con la quale si otteneva una sorta di lampasso tessuto a tinta unita o in due colori. I motivi più comuni erano grifoni, leoni e uccelli. Alcuni disegni presentavano coppie di animali all’interno di forme geometriche dai contorni decorati. All’inizio del XIV secolo, la simmetria del disegno fu sostituita da figure asimmetriche e in movimento: uccelli in volo o altri animali in azione, ai quali si aggiunsero motivi floreali che spesso decoravano l’intero tessuto con ricchi intrecci. Altra ispirazione venne dal Medio e dall’Estremo Oriente, mentre alcuni motivi subirono l’influenza dell’opera di un grande artista, Giacomo Bellini. Il motivo più diffuso era il melograno.
Allo scopo di produrre le decorazioni durante la lavorazione, il tessitore intrecciava a piacere una determinata quantità di fili d’ordito. Non era facile lavorare i fili lisci e sottili della seta con un telaio ordinario, e i cinesi, per ovviare a questa difficoltà, inventarono il telaio al tiro che permise loro di creare disegni molto più grandi di quelli ottenuti con la tessitura su un telaio semplice. L’uso di questa innovazione si diffuse insieme al segreto della produzione della seta, e i tessitori di Firenze e di Lucca divennero famosi per le loro eleganti sete vellutate. Successivamente a Venezia viene fabbricata una nuova tipologia di tessuti: il velluto di seta, sul quale venivano raffigurati animali come i pavoni, ma anche fiori di loto e melograni d’oro, sul fondo rosso. Siamo ormai in pieno ‘400 e l’arte della seta è all’apogeo.
Fino al XV secolo molte sete venivano decorate a grandi motivi tessuti spesso in damasco o broccato. Nel XVI secolo comparvero i piccoli disegni, e i tessuti a motivi ripetuti. Verso la metà del XVII secolo la richiesta di tessuti di seta si fece sempre più pressante. I setifici italiani, che dominavano il mercato europeo da più di 400 anni, si trovarono a competere con la nascente industria francese.
E’ Nel ‘600 del re Sole, infatti, che la seta di Francia detta legge, in particolare con le manifatture di Lione. Il dominio francese continua schiacciante fino al XIX secolo, protetto da severe leggi statali che vietavano l’esportazione di campioni, per evitare che potessero essere copiate le tecniche di lavorazione. Joseph – Marie Jacquard, tanto per citare un nome famoso, diventato sinonimo dell’ancora noto tipo di lavorazione, aveva inventato il telaio automatico a schede perforate. Tecnica che ben presto si diffonde in tutta Europa. In Italia, come altrove, l’arte della seta non era scomparsa, ma si era rifugiata in nicchie vitali e interessanti come Como e Venezia. L’industria serica comasca, fin dal ‘700, è molto apprezzata, non solo in Italia, fino a diventare uno dei poli industriali del settore più importanti e innovativi del mondo. A tutt’oggi. Abraham, Cugnasca, Ghioldi, Lucchini, sono solo alcuni dei nomi dei più importanti industriali del settore del ‘900.
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