Di Paolo Aramini
Sin dalla notte dei tempi, dove la gloria dei miti pagani si riflette nello speculum della storia e delle vicende umane fino ad infrangerlo, la magnificenza delle alture più impervie ha da sempre destato profonda devozione orientando scalate ed ascesi che gettano l’uomo ed i suoi passi nel baratro di segreti impenetrabili, misteri ed enigmi che appartengono alla montagna ed alle nebbie che ne arginano i ricordi. Sui Monti Sibillini, a quota 1250 metri, laddove l’aria rarefatta rivela e non occulta, spirano venti e leggende di dee incantatrici e signori delle tenebre che accesero, per millenni, la fantasia ed il desiderio di cavalieri erranti chiamati, tra proverbi di alberi secolari e grida di lince, ad addentrarsi nelle tenebre di un antro proibito, dimora della Sibilla e dei miti con cui ella è sopravvissuta agli inganni del tempo e delle memoria.
Sibilla Appenninica, rappresentazione popolare
Una santuario di roccia scavato dagli oscuri signori dei Sibillini che ben presto divenne crocevia di audaci esploratori ed oscuri negromanti, come recitano secolari incisioni nella pietra: un cavaliere dal volto ignoto vi giunse nel 1138, Antoine de la Sale vi approdò invece nel 1420, Harold de Arff 27 anni dopo, spiriti erranti che nei misteri della trascendenza e dell’ignoto ricercano il significato delcammino su questa terra. Una leggenda, quella della Sibilla, che ispirò le trame di romanzieri e compositori: in Italia il “Guerin Meschino” di Andrea da Barberino, in Francia il “Paradiso della Sibilla”, in Germania “La disputa poetica del Warburg”, opera divenuta musa di ispirazione per il compositore Wagner nel concepimento dell’opera “Tannhauser”, epose sinfonia in atti dell’eterno conflitto tra amor sacro ed amor profano.A sottolineare il fascino esoterico un passo dell’Orlando Furioso: l’Ariosto, nel canto 33, rivela che il libro del mago Merlino fu consacrato o sulle sponde del Lago Aterno, portale di ingresso nel Regno degli Inferi, o nell’oscurità primordiale delle grotte dei Sibillini. Cavalieri e negromanti, poeti e compositori, viaggiatori sognanti, oggi come allora anime destinate a perdersi nei misteri dell’Umbria, alla ricerca di attimi di eternità e frammenti di infinito.
Copertina illustrata del “Guerin Meschino”
Un volto, un nome, una leggenda che le correnti ascensionali del selvaggio Appennino hanno elevato oltre l’erudizione degli accademici, oltre le dispute della storia che calpestano il mito riducendolo a vuota letteratura occultistica, oltre le mode new age che popolano ogni monumento pagano di fantasmi ed ombre senza volto. Eppure nonostante le testimonianze che fanno da trincea agli ultimi epigoni della cultura rurale, nonostante la rivisitazione in chiave neo-spiritualista della cultura d’un tempo, l’origine del mito della Sibilla si mostra ancora oggi impenetrabile, se non fosse per la coraggiosa ricostruzione di un ricercatore lontano dagli onori della cronaca, Felix Hammelin (1497), che rintraccia elementi di continuità tra il primitivo culto della Sibilla e l’antica devozione a Venere – un rigurgito di magismo su cui si inanella la struttura del pensiero magico e religioso del pantheon politeista di astrazione germanica – e contestualmente tra l’antro della misteriosa regina degli Appennini e il Venusberg, il regno sotterraneo in cui i druidi del Nord Europa ritenevano dimorassero Venere e le sue ancelle.
Il Regno della Sibilla in una raffigurazione dello scrittore francese Antoine de La Sale
Nel poema drammatico “Sibilla” Giulio Aristide Sartorio, autore ed artista funambolo nutrito dalla decadente classicità dannunziana ed alla continua ricerca del dinamismo che animò il Liberty italiano, scriveva: “Là, sovra i giochi dell’Appennin selvaggio, fra l’erte rupi una caverna appar: vegliano le sirene quel faraggio, fremono i canti e fanno delirar”.Correva l’anno 1922, quando l’artista romano affidò all’inchiostro di una macchina da scrivere il compito di rispolverare la geografia di un mondo sommerso dalle tempeste dei Sibillini, che in questo angolo di Valnerina annunciavano, secondo le leggende tramandate intorno al focolare, il transito di veggenti e negromanti demoniaci. Un viaggio nel simbolismo, quello compiuto da Aristide Sartorio che, per chi sceglie l’Umbria, diventa un biglietto di andata per itinerari persi nel tempo, per esperienze dalle sfumature oniriche che traggono ispirazione da inquieti scenari appenninici, frontiere di marmo che delimitano lo sguardo del viaggiatore ma che ne dischiudono l’animo al cielo, laddove la realtà incontra la leggenda.