UNA MOSTRA AL MUSEO HENDRIK CHRISTIAN ANDERSEN
Via Pasquale Stanislao Mancini, 20 -Roma. (fino al 24 ottobre 2021)
di Luisa Chiumenti
Curata da Maria Giuseppina Di Monte e Gabriele Simongini, l’esposizione offre al visitatore le opere realizzate dall’Artista in trent’anni di carriera. Ma è soprattutto il fascino che suggestiona il visitatore nel sentirsi avvolto dall’atmosfera particolare che coinvolge allorché si penetra nel luogo in cui l’Artista pensa, elabora e realizza le proprie idee: il suo Atelier privato. Nato a Mazara del Vallo nel 1953, ma romano d’adozione, si può quindi seguire attraverso l’esposizione, l’evoluzione creativa di Modica dagli anni ’90 fino al 2021 (ben 37opere).Ed eccoci così di fronte a quell’ “Omaggio ad Antonello”, con cui l’A. celebra Antonello da Messina e in particolare il S. Girolamo nello studio, ritraendo se stesso mentre dipinge.
All’interno del prezioso contesto museale costituito dal Museo Andersen la mostra di Giuseppe Modica sul tema dell’Atelier, si inserisce come elemento strettamente connesso con la personalità stessa dell’artista già dal 1990. E Gabriele Simongini co-curatore della mostra conduce lo spettatore in un viaggio all’interno dello sviluppo creativo dell’artista in una vera e propria condivisione di un luogo “sacro, contemplativo e solitario, di magica e segreta creazione dell’arte dal caos della realtà, che è il proprio studio per ogni artista”. Appare così la volontà di “aprire metaforicamente il proprio atelier a chi guarda”, trovando nella rappresentazione di uno spazio così privato e tanto strettamente legato l’intero mondo personale vissuto e poi rappresentato dall’artista. Ed è proprio quell’“atto del dipingere”, come ci dice Simongini nel suo saggio, “che diventa così il labirinto dei labirinti che ricorda l’avvenire e riscrive il passato in un attimo infinito, l’origine” .E infatti la pittura viene intesa da Modica, come “capacità di conquistare la preistoria di una tradizione, per dirla con Nietzsche, “un riconoscere, un ricordare di nuovo, un retrocedere e un ritornare a casa, in una lontana, antichissima comune dimora dell’anima”.
E’ così doppiamente accattivante penetrare nel privato dello Studio di Modica, proprio nell’Atelier in cui lavorava Andersen e cioè in quella casa-museo che è in gran parte occupata dal laboratorio in cui operava lo scultore norvegese-americano.
Molto acuto è il rapporto che Simongini rintraccia fra “quel labirinto senza fine di memorie, di illusioni, di rispecchiamenti, di miraggi, di spaesamenti e infine di rivelazioni che è la mostra di Giuseppe Modica intitolata “Atelier” e il racconto “Le rovine circolari” di Jorge Luis Borges in cui un mago (e la pittura in fondo non è pura magia?) “voleva sognare un uomo: voleva sognarlo con minuziosa completezza e imporlo alla realtà. […] “meditazione, addizione e sottrazione”, sono gli elementi su cui si focalizza il lavoro del pittore, ben lontano dalla immediatezza ed improvvisazione, ad esempio, del lavoro fotografico.
Ed è bello concludere con “una curiosa coincidenza “onirica”, ricordando che “sulla tomba della famiglia Andersen è scritto: “qui dormono i sognatori”.
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