Testo di Mariella Morosi
Sarà stato quel tal Ughetto Atellani, sguattero perdutamente innamorato della fornaia Adalgisa a inventare per lei il panettone? O fu quel Toni cuoco di Ludovico Sforza detto il Moro che dopo aver bruciato il dolce previsto per il banchetto, per salvarsi la testa ne inventò in fretta un altro, con gli ingredienti che aveva sottomano? E le poverissime suorine del convento lombardo che videro il loro pane secco tramutarsi in panettone, furono davvero miracolate? Nessuno conosce la vera storia del dolce ambrosiano, ma quel che è certo è che senza di lui non è Natale e non importa se il pandoro lo marca stretto. E’ dal XV secolo -è documentato- che questo dolce è protagonista della festa più bella dell’anno, adottato anche dalla tradizione cristiana. Veniva collocato davanti al camino su un ceppo di quercia, decorato da fronde di ginepro, e il capo famiglia lo tagliava distribuendolo a tutti. Era come lo spezzare il pane del sacramento dell’Eucarestia e comunque simbolo di pace e di prosperità.
Da “pan de’ sciori” o “pan de ton”, ovvero pane di lusso, di puro frumento, impastato con uova, burro, zucchero, zibibbo, cedro e arancia canditi, è diventato il dolce di tutti e tutti i campanili, mentre i milanesi continuano a rivendicare l’invenzione del vero “panetun”. A Natale vince la tradizione, ma più che nuove proposte ad imporsi è la fantasia. Quindi è difficile trovare al supermarket quello “classico”, alto e dalla crosta bruna tagliata a croce, il più semplice, che non sia glassato, mandorlato o farcito. Ce ne sono alla crema, al gianduia e persino al limoncello. Per fortuna l’associazione delle industrie dolciarie si è imposta un disciplinare, e in seguito, dal 1995, una normativa ministeriale ha stabilito regole precise perché un panettone possa chiamarsi tale. Così, solo al di sopra della ricetta “base”, può scatenarsi la fantasia dei pasticcieri. Occhio all’etichetta, dunque, specialmente se si sceglie un panettone artigianale, una parola che in sé non garantisce la qualità. Alessandro Circiello, paladino della cucina salutista, è per la qualità assoluta. “Il panettone è simbolo del Natale -dice- ed è giusto mangiarlo per rispettare la tradizione e per assaporare al massimo l’atmosfera e il piacere della festività.
L’importante però è prepararlo secondo i canoni, utilizzando le giuste materie prime e gli ingredienti di qualità. Ecco perché un panettone ben fatto non può costare solo qualche euro”. La guerra dei prezzi al ribasso infatti non risparmia questo dolce tradizionale, usato nella grande distribuzione come prodotto-civetta e spesso venduto sottocosto. Non c’è più bisogno di aspettare come una volta la festa di San Biagio, il 3 febbraio, per portarselo a casa a metà prezzo. Tra i migliori prodotti artigianali ce ne sono alcuni davvero speciali. C’è un panettone che unisce la bontà del gusto a quella del cuore, d’obbligo sulla tavola di Papa Benedetto XVI: è quello prodotto dai detenuti del Carcere di Padova. Sono una dozzina, riuniti nella Cooperativa Sociale Giotto, orgogliosi di fare un grande prodotto con la supervisione di Lorenzo Chillon. chef dell’Antico Caffè Pedrocchi. Anche i ragazzi di San Patrignano ne fanno un tipo buonissimo, un prodotto equilibrato e non troppo dolce, con uvetta e canditi, acquistabile nello spaccio della Comunità. E’ un dolce che a giudicare dai numeri dell’export va anche sui mercati esteri, simbolo di quel Made in Italy che conquista il mondo e che proprio per questo viene impietosamente imitato, magari storpiandogli il nome. In patria quest’anno è stato definito “dolce del Risorgimento” e festeggiato per il 150 anniversario dell’Unità d’ Italia. Del resto, pur partito da Milano, non ha forse unito l’Italia tutta intorno alla tavola di Natale?
E non è poco, in un Paese di golosi e buongustai come il nostro. Non c’è pasticceria che per l’occasione non abbia decorato i suoi dolci col tricolore, ma sul podio è andato “Camillo”, in onore del Conte di Cavour, creato dal giovane torinese Andrea Perino. Si tratta di una variazione del panettone classico, che si ispira alla tradizione sabauda e comprende nell’impasto mele, nocciole Piemonte Igp, cioccolato tipico di Torino e marron glacé della Val di Susa. Lievitato naturalmente, “Camillo” è soffice, ricco e complesso di sapori e profumi, con crosta sottile e un retrogusto acidulo dato da ben cinque cereali -segale, riso, orzo, avena e frumento- che annulla il rischio del troppo dolce. “Quando ho deciso di fare un dolce per l’Unità di Italia -spiega l’autore- ho pensato subito a Camillo Benso perché ha fatto tante cose importanti nella sua vita, senza urlare, con grande umiltà.
E oggi l’umiltà non ce l’ha più nessuno”. Ma perché limitare il consumo di questo dolce buonissimo al Natale, perché mangiarlo di fatto solo una volta l’anno? Se lo sono chiesto in molti e una mini rivoluzione è già cominciata con interventi di comunicatori gourmet e ricette a base di panettone proposte da chef stellati per momenti gratificanti anche col solleone. Lo sostiene da tempo il Gastronauta Davide Paolini. “Il panettone -ci ha confermato- è un dolce straordinario ormai divenuto nazionale, ovverosia prodotto da nord a sud, da consumare tutto l’anno. In inverno perché simbolo del Natale e delle feste, in estate perché è gustoso e sotto l’ombrellone può essere consumato con il gelato”. E se avanza? Libri e giornali pullulano di ricette semplicissime: tiramisu con panettone al posto dei savoiardi, tostato con crema inglese, a strati con cioccolato e panna.