CARCIOFO ALLA GIUDIA
di Luisa Chiumenti
La cucina ebraico-romanesca affonda le sue radici nella storia, da cui si colgono le interessanti contaminazioni fra le due diverse abitudini gastronomiche. Da sempre infatti i principi del mondo ebraico di mescolare e cucinare ingredienti particolari, si sono inseriti con equilibrio nel mondo romano, considerando fra l’altro come sia stata sempre molto presente in Roma la Comunità ebraica. Nell’ambito del Festival Internazionale della Cultura ebraica, tenutosi recentemente a Roma, e avente come tema la “felicità”, l’argomento “cucina” è stato trattato da studiosi e specialisti, che ne hanno messo in evidenza lo stretto legame con il “benessere”.
FILETTO DI BACCALA’
E come ha sottolineato Yehudit Laura Ravaioli: “ …un legame fra i prodotti [della terra] e il loro tempo ancora oggi permane e si perpetua attraverso gesti, tradizioni e ricette.” Le stesse festività sono legate intimamente alle stagioni e ai suoi frutti. Le tre Feste chiamate Shlosh Regalim (tre pellegrinaggi), perché anticamente si andava in pellegrinaggio al Santuario di Gerusalemme, cadono in tre specifici momenti dell’anno agricolo: Pesach viene chiamata anche Hag Ha Aviv (Festa di primavera), la Festa di Shavuòt nella Tòrah viene nominata come Hag ha Biccurim (Festa delle Primizia) o Hag ha Catzir (Festa della mietitura) e infine Sukkot o “Festa delle Capanne, definita Hag Heasìf (Festa del raccolto).
CONCIA
Tutto sempre in armonia con il concetto di “salute” e comunque legato a qualcosa che rallegra il cuore dell’uomo. Ed è interessante notare come tutti i principi indicati nel Talmud, siano molto simili a quelli su cui si basano le diete moderne. Così il pane mangiato al mattino protegge da molteplici cose e inoltre va mangiato con poco sale e molta acqua. E sempre nel Talmud si legge che non è bene mangiare molta carne e il pesce salato fa male, ma può essere mangiato meglio con la birra e un uovo ogni tanto è salutare, ma troppe uova fanno male e tra la frutta è molto da apprezzare il dattero.
AGNOLOTTI
Ed è significativo ancora notare che, se da un lato molti rabbini fossero medici, dall’altro ogni atto e quindi anche l’assumere cibo possieda, nella cultura ebraica, una propria “valenza spirituale” . Così Rosh haShanà, (il Capodanno ebraico), che quest’anno si è celebrato quasi in concomitanza con lo svolgimento del Festival, tra la sera del 18 settembre e il 20 settembre, preveda, assieme alla recitazione di piccole formule di preghiera, la consumazione di qualcosa di dolce (come la mela intinta nel miele), e di alcuni cibi che diano l’idea di molteplicità, come il melograno, per augurarsi un anno dolce e prospero. Viene poi servito, come piatto di carne, una sezione di animale che faccia parte della testa, quale simbolo dell’inizio dell’anno. Ma c’è anche la presenza in tavola di una forma di pane (challa) tonda, a simboleggiare la “circolarità dell’anno”.
ALICIOTTI CON INDIVIA
Nel pasto della seconda sera, stando a Seder, vengono poi servite più varietà possibili di frutta, perché siano annoverate nella benedizione di “shehecheyanu” che si recita in occasione del primo assaggio nell’anno che si fa di un cibo. In effetti quindi, tutti i cibi tradizionali sono comunque sempre legati a momenti felici e ad eventi particolari: l’ebraismo infatti celebra la vita anche attraverso la tavola poiché anche “avere ospiti” fa essere felici e quindi esiste uno stretto legame con la socializzazione, tema prevalente anche nel mondo romano. Per questa ragione forse si è determinata la nascita di una cucina giudaico-romanesca, in cui appaiono uniti nel cibo i temi che tanto sono importanti oggi: gli aspetti dell’ambiente, del sociale e dell’economia.
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