Testo di Anna Maria Arnesano e Foto di Giulio Badini
C’era una volta una nazione, grande quasi quanto l’Italia, che non aveva luce elettrica, acquedotti e fognature, non conosceva i giornali, possedeva 9 km di strade asfaltate e un solo ospedale (straniero), dove per spostarsi da un posto all’altro occorreva un permesso e di notte vigeva il coprifuoco, dove tutti i poteri erano concentrati nelle mani di un sultano assolutista che aveva sui suoi sudditi poteri di vita e di morte e che fece chiudere le poche scuole esistenti, già precluse alle femmine, perché possibili fonti di corruzione. Questo succedeva non nel Medioevo ma fino al 1970 in Oman, estremo lembo sud-orientale della penisola arabica, una terra desertica ma tanto ricca in passato da produrre oro, incenso e mirra dei Re Magi e da essere la patria di Sindbad, l’intraprendente marinaio delle Mille e una notte, e di un popolo che per commercio spingeva le sue esili navi in tutto l’oceano Indiano da Zanzibar fino all’India e alla Cina. Nel 1970 prese il potere Qabus Bin Said, figlio del sultano oscurantista con studi in college britannici, che in quaranta anni ha trasformato radicalmente il paese, facendone uno dei più progrediti ed equilibrati del Medio Oriente.
Oggi anche i villaggi sperduti tra le montagne hanno acqua, luce e scuole, le strade asfaltate tagliano il deserto, le navi da pesca, la maggior risorsa economica tradizionale, dispongono di celle frigo, le ragazze frequentano l’università e occupa il primo posto nel mondo arabo per la qualità dell’assistenza sanitaria. Non esiste monumento antico che non sia stato restaurato, ci sono musei e parchi naturali, le strade della capitale Muscat sono più pulite di quelle di Zurigo, i beduini del deserto viaggiano in Toyota e comunicano con i satellitari, nei distributori di benzina c’è una pompa gratis per l’acqua, studenti e impiegati statali esibiscono ogni giorno con orgoglio l’abito nazionale, gli avveniristici alberghi sulla costa pullulano di turisti occidentali in costume. Qabus rimane il monarca assoluto, forse l’ultimo al mondo, di un paese prospero, stabile, efficiente e sicuro, turisticamente attraente per le sue molteplici valenze; un despota illuminato che non fa certo rimpiangere le nostre baruffose democrazie e che invoglia a visitare questo regno dei miracoli.
Un itinerario di 11 giorni in fuoristrada consente di esplorare i tre diversi habitat dell’Oman, la costa, le montagne e il deserto. L’itinerario parte da Muscat, l’elegante capitale addossata all’antico porto dove meritano una visita la grande moschea, la reggia del sultano, i forti portoghesi e l’animatissimo suq dove acquistare prodotti artigianali di pregio, e si inoltra subito fra le brulle montagne retrostanti, alte fino a 3.000 m, toccando oasi lussureggianti di palme e antichi villaggi con le case di fango. Dopo la graziosa cittadina montana di Nizwa, antica capitale religiosa, ci si addentra nelle Wahiba Sands, il grande deserto abitato da una delle tribù più tradizionaliste di pastori beduini nomadi che vivono allevando dromedari e capre, le cui donne portano sul volto una caratteristica maschera nera. Lo spettacolo delle dune bianco candido, gialle e rosse che si smorzano nell’oceano riescono ad affascinare anche i sahariani più smaliziati.
Raggiunta la bella baia di Al Khaluf, costellata di insediamenti di pescatori, e l’incontaminata isola di Masirah, si risale verso nord lungo un’interminabile spiaggia tra miriadi di uccelli, pesci e tartarughe spiaggiati, rocce e lagune, fino a raggiungere Rass El Hadd, estrema punta di sud-est della penisola arabica e riserva naturale dove convergono per nidificare decine di migliaia di tartarughe marine; si tratta di uno dei più importanti luoghi al mondo per la riproduzione delle tartarughe verdi, per altro facilmente avvistabili. Lungo la scenografica costa settentrionale meritano una sosta l’elegante Sur, in pieno stile arabo, nei cui cantieri si costruiscono ancora senza l’impiego di chiodi i dhow, le caratteristiche barche omanite che da millenni solcano i mari arabici e l’oceano Indiano, e i resti di Qalhat, l’antica capitale con le case di corallo visitata anche da Marco Polo.