Testo di Anna Maria Arnesano e Foto di Giulio Badini
Ubicato nell’estremo sud-est della penisola arabica e affacciato con 1700 km di coste sull’oceano Indiano, l’Oman può essere considerato la destinazione turistica emergente del Vicino Oriente, dopo oltre mezzo secolo di oscurantismo medievale e di rigida chiusura agli stranieri. Si tratta infatti di una nazione tranquilla e stabile, sicura, pulita, ordinata ed efficiente, dal benessere diffuso, ricca di attrattive storiche ed ambientali e di confortevoli strutture ricettive, tanto da non sembrare nemmeno un paese arabo. Merito in parte del petrolio, di cui vanta risorse limitate, ma soprattutto di un sovrano colto e illuminato che ha saputo impiegarle saggiamente nell’interesse della nazione. Nulla a che vedere quindi con le ostentate e pacchiane ricchezze dei confinanti emirati. In Oman, grande quasi quanto l’Italia ma con soli 3,5 milioni di abitanti, tutto si presenta spettacolare: le coste disseminate di spiagge enormi frequentate da colonie di uccelli e villaggi di pescatori, con golfi, speroni rocciosi e lagune affacciati su un mare dove nuotano tartarughe, delfini e balene, le città con le loro testimonianze storiche, le brulle montagne alte fino a 3.000 metri capaci di celare al loro interno oasi floridissime e, ovviamente, anche il deserto. Un quarto della penisola arabica risulta occupato dal deserto del Rub al Khali, secondo per estensione soltanto al Sahara e maggior distesa continua di dune al mondo grande due volte l’Italia, da sempre disabitato per la sua aridità e attraversato per la prima volta soltanto nel 1931, con piramidi di sabbia e cordoni di creste alti fino a 330 m intervallati da lunghi corridoi interdunali, spesso resti di antichi laghi. Infatti come il Sahara, anche questo deserto un tempo è stato verde, come attestano la presenza di 31 specie di piante autoctone e i resti fossili di ippopotami, gazzelle e bufali, e il fatto che fino al I° sec. d.C. fosse regolarmente percorso da carovane.
Sotto questo spettacolare oceano di dune si cela un prezioso mare di petrolio. Gran parte del Rub al Khali occupa il centro-sud dell’Arabia Saudita, da dove è però inaccessibile, mentre una parte deborda nel centro-sud dell’Oman, che ne consente l’accesso. Qui le dune si presentano davvero grandiose, con variazioni di colore dal giallo al rosso, e prevalgono quelle a forma stellare, sviluppate in tutte le direzioni per la variabilità dei venti, ed ai rari visitatori offrono preziose geodi di quarzo e rose di gesso. Da sempre i beduini parlano di una favolosa città dalle colonne d’oro, chiamata Ubar, sepolta sotto le dune da una tempesta di sabbia per l’empietà dei suoi abitanti, forti anche di una specifica citazione del Corano. Nel 1992 archeologi americani, dopo aver studiato le mappe satellitari, hanno identificato sotto le sabbie una rete di antiche piste cammelliere e hanno poi scavato presso Shisrar, sui bordi omaniti del deserto nel Dhofar, i resti di un’antica fortezza ottagonale con mura di mattoni spesse 3 m, otto torri angolari e un pozzo al centro, i cui reperti coprono un lungo lasso di tempo che va dal 6-7 mila a.C. fino al XVI secolo. Si tratta dei resti della mitica Ubar, l’Atlantide delle sabbie già preconizzata da Lawrence d’Arabia, oppure di un caravanserraglio lungo la via orientale dell’incenso ? Solo ulteriori indagini potranno fornire una risposta. All’uscita dal deserto attende un’altra sorpresa. Il Dhofar, la regione meridionale ai confini con lo Yemen, terra di produzione dell’incenso, per uno strano gioco dei monsoni è una terra verde e fertile ricca di frutta tropicale, dove i cammelli pascolano accanto alle mucche. In lontana epoca storica ai suoi porti attraccavano i navigli carichi di spezie e di merci esotiche provenienti da Africa e Oriente, per essere poi istradate lungo la via dell’incenso per 2.000 km tra deserti e montagne fino ai porti del Mediterraneo.
Dalla raffinata capitale Muscat si attraversano le brulle e ripide montagne dell’Hajar per visitare le suggestive oasi di montagna, e scendere quindi a Nizwa, antica capitale religiosa dominata da un suggestivo forte seicentesco. Si punta quindi verso sud, fino ad entrare nel Rub al Khali, dedicando quattro giorni per l’attraversamento in un delirio di dune policrome da scavalcare e di lunghi corridoi da percorrere tra enormi catene laterali di sabbia. Si passa quindi alle verdi colline del Dhofar, regno della boswllia sacra, l’alberello da cui si ricava l’incenso che qui cresce spontaneo. Si raggiunge Salahah, capoluogo del sud e terra natia dell’attuale sultano, elegante città subtropicale con ampi viali alberati e animati souk traboccanti di colorata frutta esotica. Nella vicina incantevole insenatura di Khor Rori, punteggiata di aironi e fenicotteri, rimangono le rovine di Sumhurum, l’antica Abyssopolis romana, importante porto sull’oceano Indiano e uno dei maggiori terminali della Via dell’Incenso, protetta dall’Unesco come patrimonio dell’umanità. Plinio scrive che l’incenso aveva fatto del Dhofar una delle regioni più ricche del mondo antico. Inizia quindi il ritorno verso nord percorrendo la battigia costiera tra scogliere, villaggi di pescatori e sterminate spiagge abitate da milioni di uccelli, con soste al promontorio vulcanico di Ras Madraka, alle candide dune della baia di Khaluf, al santuario delle tartarughe di Rass El Hadd, luogo di nidificazione, alla suggestiva baia di Sur con la sua fabbrica di dhow, fino a rientrare a Muscat.