Testo di Anna Maria Arnesano e foto di Giulio Badini
Quando si parla di turismo in Algeria, il pensiero corre subito ai molteplici possibili itinerari tra le dune degli immensi erg sabbiosi e gli imponenti rilievi montuosi del sud, dove il Sahara svela alcuni dei suoi volti più affascinanti e accattivanti. L’Algeria, maggiore tra le nazioni sahariane e africane (grande quasi 8 volte l’Italia), risulta infatti occupata per l’ 85 % da deserti, capaci qui di mostrarsi in tutti i loro molteplici aspetti tipologici. Ma esiste anche un’Algeria non desertica, meno nota turisticamente ma non per questo meno priva di fascino e di interesse anche turistico. Si tratta della fascia costiera settentrionale, affacciata per mille km sul Mediterraneo, dove si trova anche la capitale Algeri, e le retrostanti basse montagne della catena dell’Atlante Telliano con i suoi fertili altopiani, a separare il mondo del Magreb da quello sahariano. Questa verde regione, dove si concentra la stragrande maggioranza della popolazione e della produzione agricola, fu assai attiva all’inizio dell’epoca storica, dominata prima dalla potenza di Cartagine e poi da quella di Roma. I Romani, sfruttando la fertilità del suolo e l’abbondanza idrica, ne fecero per cinque secoli uno dei principali granai dell’impero, disseminato di ingenti insediamenti coloniali popolati dai veterani dell’esercito a cui venivano regalate le terre, collegati da una fitta rete di strade, ponti e acquedotti. Tipasa e Cherchell sulla costa, Ippona, Djemila e Timgad all’interno, sono ad esempio i nomi di città romane pressoché sconosciute al grosso pubblico, ma degne di miglior fama per le loro consistenti dimensioni, l’ottimo stato di conservazione, la varietà architettonica e l’opulenza dei mosaici, nonché per il suggestivo contesto ambientale in cui si trovano, magnificato dai due più illustri figli di questa terra, lo scrittore Apuleio e il teologo Sant’Agostino.
A sud dell’Atlante inizia il grande vuoto sahariano, caratterizzato dalle massicce dune del Grande Erg orientale, punteggiato dove le acque sotterranee affiorano in superficie da verdi oasi, vere isole di vita per uomini, animali e vegetazione in un oceano di assoluta aridità. Ma le oasi, risultato del lavoro adattativo dell’uomo, anche se presentano tutte palme da datteri, alberi da frutto, orti, coltivi e abitazioni, non sono tutte uguali. Qualcuna, come Ghardaia e la pentapoli mozabita, si distinguono dalle altre per conformazione e storia. In estrema sintesi i mozabiti sono una setta religiosa islamica scismatica che applica un rigido stile di vita puritano e rigorista, quasi al limite del fanatismo, con una vita morigerata e severa basata sul lavoro, dalla quale sono esclusi divertimenti, ozio, lusso, vanità e passioni. Considerati eretici e mal sopportati dagli altri musulmani, anche per la loro capacità di accumulare ricchezze, hanno sempre dovuto subire una vita errabonda di continue diaspore, che dall’Arabia li ha portati nel nord dell’Algeria. Ma anche da qui dovettero sloggiare, e nella speranza di poter vivere finalmente in pace nel X° sec. decisero di trasferirsi nell’arida e inospitale regione sahariana dello M’Zab, dove questi pionieri ingegnosi e parsimoniosi scavarono pozzi, canali e dighe, crearono palmeti, orti e coltivi ed edificarono sui fianchi di colline coniche rocciose le loro cinque città racchiuse da mura, composte da piccole e sobrie case con un’architettura peculiare semplice ma funzionale che ispirò gli architetti razionalisti del secolo scorso per le strutture a misura d’uomo. E ancora oggi i mozabiti vi vivono secondo i loro principi, isolati nel deserto e lontani da tutto e da tutti.
Un itinerario tra i più significativi insediamenti romani e le prime oasi nel settore settentrionale del Sahara parte dalla capitale Algeri, dove non perdere la visita della millenaria casbah, groviglio di vicoli ed edifici immortalata nel film di Pontecorvo “La battaglia di Algeri” e protetta dall’Unesco. Si comincia con Ippona, sede di tre concili e dove per quarant’anni visse e operò Sant’Agostino, che ne era vescovo, e si prosegue con Tiddis, antico centro punico con un insolito tempio al dio Mitra, e poi con Djemila (sito Unesco), florida e vasta città di veterani in amena posizione e ottimamente conservata, con un teatro da tremila posti, il foro, le terme, il mercato, il bordello, i templi e le basiliche. Dopo Costantina, capitale dell’antico regno della Numidia appollaiata su una rupe, si passa al campo militare fortificato di Lambaesis e poi a Timgad (ancora sito Unesco), altra imponente città fondata dall’imperatore Traiano e sede della III legione Augusta, tra le meglio conservate in Africa, con un tempio dedicato a Giove grande quasi quanto il Pantheon di Roma. Si scende quindi dalle montagne dell’Aures attraverso Rhoufi, il Gran Canyon dell’Algeria, una suggestiva forra fluviale in un contesto scenografico, per raggiungere le prime dune sahariane dell’imponente Grande Erg Orientale e le sue oasi. La prima che si incontra è El Oued, famosa per le cupole delle sue case che servono a mantenerle fresche e per il palmeto dove si producono i migliori datteri del paese.
Ultima tappa Ghardaia e gli altri quattro piccoli insediamenti che formano la pentapoli mozabita (altro sito Unesco), per addentrarsi tra gli stretti vicoli a visitare il mercato degli originali tappeti e la moschea sommitale, sperando di incrociare le donne con un solo occhio, le abitanti femminili costrette dai rigidi costumi locali ad uscire interamente coperte da capo a piedi, lasciando scoperto del viso un occhio soltanto.