Una mostra alla Bevilacqua La Masa di Venezia per gli 80 anni dell’artista
Testo di Michele De Luca
Ludovico De Luigi nasce a Venezia l’11 novembre 1933 da una famiglia d’arte di lunga data; il padre è il noto pittore spazialista Mario De Luigi. Dal 1950 compie una serie di viaggi, durante i quali soggiorna a Torino, a Roma, in Francia, negli Stati Uniti, coltivando, oltre all’arte, un particolare interesse è l’entomologia. Nel 1959 la passione per i vedutisti veneti lo spinge a frequentare assiduamente, a Roma, la Galleria di Palazzo Corsini dove, con lungo studio, si appropria della tecnica pittorica di Canaletto, fino ad imitarlo con singolare maestria; questo sontuoso palazzo romano diventa la sua palestra di studio delle emozioni, delle espressioni, dei sentimenti, dei “moti dell’anima” che spinsero i suoi predecessori al compimento di immortali capolavori. Le sue prime mostre iniziano nel 1965 con la personale alla Galleria Il Canale di Venezia; ad incontrare il favore della critica sono ampie vedute di una Venezia fatiscente e monumentale invasa da frotte di insetti ed altri esseri fantastici. Ma è grazie all’incontro con il gallerista Luciano Ravagnan, nel 1968, che la sua attività espositiva si intensifica con successo a Venezia, in Italia e all’estero; a Trieste, Milano, ma anche a New York, Monaco, Montecarlo, Parigi, e, dal 1975, in molte città della Germania.
Accanto al filone del vedutismo e dell’entomologia, l’artista veneziano si fa con i suoi lavori profeta delle minacce che incombono sulla sua bellissima quanto fragile città: l’acqua alta, l’inquinamento, l’avvento incontrollato della tecnologia, la mercificazione della città. Venezia viene quindi rappresentata in visioni surreali, ora catastrofiche, ora sensuali, ora decadenti, grazie ad una tecnica minuziosa ad olio a cui si aggiunge più tardi l’uso della fotografia e quello, assolutamente inedito e originale del “pennello elettronico” del computer. Nel 1978 realizza la prima importante performance, “Colleoni Surf”, al teatro di Palazzo Grassi; gli anni successivi espone in una serie di mostre in Spagna, in Messico e poi in Brasile, dove ottiene successo grazie alla forza dei suoi soggetti e all’abilità e intraprendenza del suo gallerista; del 1984 è la mostra al padiglione del Palazzo dei Diamanti nel Parco Massari a Ferrara.
Nel 1986 partecipa alla 42a Biennale di Venezia, intitolata “Arte e Scienza”, con l’allestimento del “Teatrum Filosoficum”, uno stereoscopio gigante realizzato con uno dei primi plotter elettronici di immagini su tela. Tra i primi in Italia a scoprire le possibilità espressive nell’uso del computer nell’arte, è stato non a caso definito a volte un “vedutista elettronico”. I modi dissacranti della pittura di De Luigi fanno parte anche della sua vita, passionale e avventurosa, e delle sue performances veneziane, alcune divertenti e giocose da carnevale settecentesco, altre venate di polemica e serrata denuncia verso i mali della città lagunare . Tra queste ricordiamo il progetto provocatorio di una Statua della Libertà in cartapesta da porre nel Bacino di San Marco (1986) o lo scandalo di Cicciolina (1987). Negli anni ‘80 De Luigi si avvicina alla scultura dedicandosi all’esecuzione di enormi cavalli in bronzo, ispirandosi alla famosa quadriga della Basilica di San Marco in alternativa alle brutte copie ora poste sul suo frontespizio; questi cavalli si trovano nelle piazze di Marsiglia, St.Louis, Chicago, Denver, Perth, Bolzano.E si ricorderà certamente la sua realizzazione, per il Carnevale veneziano del 1990, di un cavallo di cioccolata della stessa a grandezza naturale. La prestigiosa Fondazione Bevilacqua La Masa dedica ora a Ludovico De Luigi (Venezia, 1933), al traguardo degli ottant’anni, una mostra antologica a cura di Enzo Di Martino, che racconta il suo percorso artistico dal 1960 al 2013: un viaggio che riguarda innanzitutto Venezia, tra passato e presente nonché verso un futuro immaginato con visionarietà.
L’artista ha sempre dipinto la città in modi formali che oscillano tra l’apparente capriccio settecentesco e declinazioni formali di sapore pop e dissacrante. La mostra allinea oltre trenta dipinti e tre sculture, che documentano l’attività dell’artista dai suoi esordi mettendo in risalto, anche, il valore di denuncia che la sua opera ha avuto nei confronti della crescente concezione volgarmente utilitaristica di Venezia: un elemento evidente in opere quali “Sebastian Cola” del 1979, un distributore di bevande trafitto da frecce e incastonato in un portale cinquecentesco, o ancora nella “Piattaforma Longhena” del 1982, che rivela una evidente allusione alla sconvolgente realizzazione del discusso Canale dei petroli. Emerge dalla mostra, in tutta la sua portata, una personalità tra le più originali ed interessanti dell’arte a Venezia nella seconda parte del Novecento. La prima antologica di Ludovico De Luigi si inserisce nel programma che la Fondazione Bevilacqua La Masa dedica alla città di Venezia, ai suoi fenomeni culturali e, soprattutto, agli artisti che meglio hanno saputo raccontarla, interpretandone in maniera personale le suggestioni estetiche. Per un approfondimento dell’opera e della figura di De Luigi soccorre il puntuale saggio introduttivo in catalogo del curatore Enzo Di Martino, il quale pone bene in evidenza il tracciato essenziale del lavoro dell’artista, quando scrive: “La ricerca espressiva e immaginativa condotta da De Luigi negli ultimi cinquant’anni appare caratterizzata da due considerazioni. La prima riguarda il fatto che nel suo immaginario egli ha sempre posto in una posizione di centralità quasi ossessiva l’idea di Venezia e del suo mito. La seconda concerne invece la ricorrente oscillazione formale della sua pittura che risulta sempre in bilico tra l’irresistibile attrazione del Capriccio tiepolesco e la declinazione Pop di alcune delle sue opere più coraggiose e significative”. Assistiamo con tutta evidenza in De Luigi – continua Di Martino – ad una “esagerazione immaginativa” espressa tuttavia con la lucida consapevolezza della “pittura come linguaggio della finzione”. In un percorso affascinante, frutto di una ricchezza di fantasia, di rimandi anche letterari e di contaminazioni che attingono ad una profonda e meditata conoscenza dei sentieri più odorosi dell’arte antica e contemporanea. Che la mostra, anche con l’appendice di opere esposte nella vicinissima Galleria Ravagnan, ci offre occasione di rivivere.