Testo di Anna Maria Arnesano e foto di Giulio Badini
Per gli amanti della scoperta di destinazioni insolite, dove i rari visitatori possono essere ancora accolti come graditi ospiti, si aprono le frontiere di una nuova meta turistica, fino ad ora frequentata unicamente da business man, ma per tutt’altre ragioni. Si tratta del Kazakistan, la più estesa, prospera e progredita, oltre alla più settentrionale, delle repubbliche dell’Asia centrate resesi indipendenti nel 1991 dall’ex Urss. Grande nove volte l’Italia, oppure quanto l’intera Europa occidentale o ancora metà degli Usa, si presenta come un enorme bassopiano steppico arido e semidesertico che dalla sponda orientale del mar Caspio, il maggior lago salato del pianeta, si estende per 3.000 km est-ovest (e per 1.700 nord-sud) fino ai confini con lo Xinjiang cinese, dove si eleva ai 7.000 m della catena del Tian Shan e ai 4.000 dell’Altai mongolico, dopo aver confinato a nord con gli Urali e la Siberia russa, a sud con Turkmenistan, Uzbekistan e Kirghizistan. Stante le sue rilevanti dimensioni, questo paese dagli enormi spazi vuoti al confine tra Europa e Asia e nel punto di incrocio di tre diverse civiltà (russa, turco-mongola e cinese) detiene alcuni primati: epicentro della maggior massa continentale terrestre del pianeta, 9° nazione al mondo per estensione e 1° senza accesso al mare, la maggior lunghezza delle frontiere (solo con la Russia 6.846 km). L’enorme estensione offre diverse regioni geografiche: ad ovest le terre aride della depressione caspiana, situate sotto il livello del mare, sede degli ingenti depositi petroliferi, sfruttati da oltre un secolo, che ne fanno la maggior risorsa economica e 5° produttore al mondo; nei bassipiani centrali la steppa degenera spesso in deserti veri e propri, oggi irrigata da canali artificiali per la coltivazione di cotone (la più settentrionale in assoluto) e straordinariamente ricca di minerali di vario tipo; a nord la fertile regione agricola dovuta alle terre nere siberiane, come fertili sono le alteterre a sud e ad est irrigate dalle piogge e dai fiumi montani. La natura presenta prati e cespugli nelle steppe, abitate da caprioli, antilopi saiga, volpi, fagiani, pernici, otarde e uccelli predatori, con distese di tulipani e papaveri selvatici (da cui si ricava l’oppio; la cannabis cresce invece sui cigli delle strade), con orsi, linci, pecore argali, stambecchi, lupi, cervi, cinghiali e l’ormai rarissimo leopardo delle nevi sugli alti pascoli e le foreste montane.
Oltre al Caspio, assai inquinato, vi sono alcuni vasti laghi, come l’ormai agonizzante Aral condiviso con l’Uzbekistan a cui sono state sottratte le acque a scopo irriguo, e il Balkhas (4° per dimensioni in Asia, esteso 47 volte il Garda), un quasi pantano semisalato ma capace di ospitare milioni di uccelli migratori, nonché diversi imponenti fiumi. Il territorio protetto non arriva al 3 %. Il clima è decisamente arido e continentale-desertico, con fortissime escursioni termiche. Discendenti delle leggendarie Amazzoni e della raffinata civiltà dei guerrieri nomadi celti, sconfitti da Alessandro Magno, la maggioranza della popolazione appartiene all’etnia kazaka, di origine turco-mongola, con una consistente minoranza russa, specie al nord, moderati musulmani sunniti i primi, cristiani ortodossi i secondi. Per millenni hanno vissuto nella steppa come pastori transumanti, relegando i pochi centri urbani a sud, lungo il percorso più settentrionale della Via della Seta. Appetita e dominata a turno da tutti gli imperi confinanti (persiani, arabi, cinesi e russi), venne conquistata da Gengis Khan, i cui discendenti diedero origine ai khanati medievali dell’Orda d’Oro, soggiogata poi da Tamerlano, per entrare infine nell’orbita di influenza della Russia zarista, in un rapporto prolungato di odio-amore ancora non concluso. Nel 1916 una rivolta nazionalista venne soffocata nel sangue dalle truppe bolseviche, finchè nel 1919 divenne una repubblica dell’Urss, capace di fornire alla madrepatria il 60 % delle risorse minerarie e il 20 % delle terre coltivabili, nonché le basi missilistiche e quelle per le sperimentazioni nucleari. L’indipendenza della più ricca degli “stan” centroasiatici arrivò nel 1991, ma al potere rimase la stessa classe dirigente ex-comunista, dando vita ad un regime illiberale e corrotto, ma assai apprezzato dal popolo. Nazarbayez, il presidente assoluto, è diventato una delle persone più ricche del continente, anche se ha il merito di aver creato dal nulla una capitale come Astiana dall’architettura sfarzosa e un’economia dalle baldanzose prospettive.
Una nazione tanto estesa e varia riesce ad offrire ad un visitatore colto e curioso non poche positive sorprese. Un possibile itinerario, effettuato in pullmino, fuoristrada, treno e aereo, parte da Almaty, la capitale creata dai russi nel 1927, quando i kazaki erano ancora nomadi, in un’oasi lungo la Via della Seta. Dall’elegante ex capitale, rimasta comunque epicentro socio-culturale, si visitano il Charyn Canyon, una gola profonda fino a 300 m dove le rocce erose assumono forme bizzarre, il parco nazionale Altyn-Emel, dove ammirare la principale necropoli scita, una fauna insolita come gazzella persiana, pecora argali, asino selvatico e cavallo di Przewalsky, e la singolare “duna che canta” che con il vento emette un ronzio simile al motore di un aereo, nonché la Tamgaly Tas, una gola ricoperta da lussureggiante vegetazione dove si trovano quattromila incisioni rupestri dell’età del Bronzo, riconosciute dall’Unesco come patrimonio dell’umanità. Con treno notturno si raggiunge Taraz, una delle città più antiche del Kazakistan e capitale dei turchi karakhanidi, per visitare la riserva naturale di Aksu Zhabagly, un mosaico di verdi vallate, fiumi impetuosi, cime innevate e ghiacciai al confine con Kyrghizistan e Uzbekistan, dove ammirare distese di tulipani e animali come orsi, leopardi delle nevi, stambecchi, marmotte e rapaci. Si tocca quindi Otrar, fiorente centro commerciale rasa al suolo da Gengis Khan nel 1218, e Turkistan, sede del principale monumento storico kazako, il mausoleo di un maestro sufi fatto erigere da Tamerlano nel 1389 (sito Unesco). In treno si raggiunge quello che resta del lago d’Aral, una delle maggiori catastrofi ecologiche del secolo scorso, con barche e villaggi di pescatori come spettrali fantasmi in mezzo al deserto, e poi Aktau, oggi anacronistica cittadina nel nulla creata dai russi nel 1958 per sfruttare i giacimenti di petrolio e uranio sulle rive del mar Caspio. Da qui si esploreranno per tre giorni i deserti pietrosi del Mangystau, un labirinto di gole suggestive, variopinte formazioni rocciose, moschee sotterranee e antiche necropoli in una regione ancora poco studiata, prima di concludere il viaggio nella sfavillante architettura della neocapitale Astana, la Dubai delle steppe.