Foto Pinterest Benjamin Kober
STRALCIO DI UN’INTERVISTA FATTA NEL 2005
Di TERESA CARRUBBA
Dentro l’aspetto etereo, estremamente femminile, dentro la dolcezza di un sorriso discreto, dentro la voce suadente e pacata, si nasconde una personalità volitiva e determinata. E’ Catherine Spaak. La donna forte e dinamica che, a suo dire, esalta la sua femminilità per contrasto, proprio attraverso i suoi elementi mascolini. Autonoma e intraprendente, ma anche impaziente, focosa, impulsiva. Una leader, insomma. Capace di comandare e coordinare, di ideare e realizzare. Di risolvere i problemi e di prevenirli. Di prendere decisioni rapide ma sicure, e di assumersene tutta la responsabilità. Una donna che, paradossalmente, trae il suo fascino dalla forza e dalla volontà risoluta. Una donna ideale per un gruppo di lavoro. Il successo nei rapporti sociali e nel mondo dello spettacolo, la Spaak lo ha sempre avuto grazie al suo carattere “mascolino”. Ma i sentimenti sono un’altra cosa. Dolcezza, pazienza, persino arrendevolezza ma vuole imparare ad essere calma e riflessiva, senza voler risolvere tutto subito. Arrivare a dire che la saggezza consiste nel saper essere pazienti, nell’esaminare i fatti con prudenza e fare delle scelte oculate, è già un notevole passo avanti.
D.- Il mondo del cinema cosa è stato per lei?
R.- E’ stato la mia vita. Io penso di aver vissuto un’epoca molto bella e creativa per il cinema italiano. Gli anni Sessanta-Settanta erano piuttosto vivaci e molti film in cui ho lavorato sono sempreverdi, ancora oggi molto apprezzati. Ho avuto la fortuna di lavorare con i più grandi, da Gassman a Tognazzi a Manfredi a Mastroianni, con registi che parlano della storia del cinema italiano.
D.- Era nata per fare l’attrice?
R.- No. E’ stato assolutamente un caso che io lo sia diventata. Certo, mio padre era sceneggiatore e ho sempre vissuto nell’ambiente cinematografico, ma la prima proposta che ho avuto è arrivata al di fuori delle conoscenze di mio padre.
D.- Che cosa ha portato in più nella sua personalità, il cinema?
R..- Sicuramente ha avuto un’influenza, ma l’avrebbe avuta qualsiasi altra attività. Il lavoro fa parte della crescita, dell’evoluzione della propria vita. Del cambiamento. Certo, girando film sono stata abituata a non avere orari, a lavorare moltissimo, a cambiare città, paese. Questo mi ha dato la dimensione della forza del mio carattere ed ha aperto molto la mia visione della vita.
D.- Impersonare qualcuno che è diverso da lei cosa ha voluto dire?
R.- E’ capitato molto spesso, è stata sempre un’esperienza divertente. Una scuola di psicologia, direi. Mi incuriosiva. Ma soprattutto mi ha aiutato a tirar fuori alcuni lati della mia personalità che forse erano sconosciuti o inesplorati.
D.- Come ha vissuto il dopo cinema?
R.- C’è stato il giornalismo, per tanto tempo, e poi la televisione. Direi che ho fatto un po’ tutto: dalla radio al teatro, alla scrittura, ideare programmi, presentarli. Una vita piena di esperienze.
D.- Tutte con uno stesso filo conduttore..
R.- Certamente. La curiosità, la sperimentazione.
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D.- I programmi televisivi che lei ha condotto o conduce, sono nati dalla sua iniziativa?
R.- Sempre.Tranne il primo, che io ho guidato su richiesta di Maurizio Costanzo: Forum. Tutti gli altri, Harem, Pascià, Il sogno dell’angelo, sono stati creati da me. Il sogno dell’angelo, che ancora va in onda, su LA7, è nato dall’idea di presentare un luogo dello spirito dove affrontare in tono leggero i grandi temi dell’esistenza, la salute e la malattia, il mistero della vita e della morte. Mi interessava perché anch’io ho fatto un percorso di ricerca spirituale. In un certo momento della mia vita, in cui cercavo risposte ai miei problemi, mi sono avvicinata a una scuola buddista. Poi ho fatto un corso di Quadrinity Process, che mi ha permesso di ritrovare la mia serenità e sono diventata Master di Avatar, un’altra tecnica che porta a un ampliamento della consapevolezza. Non mi considero un’esperta di esoterismo, ma vorrei diventarlo. Diciamo che sono sempre stata sensibile a certi fatti inspiegabili. Non sono superstiziosa, ma credo nella pranoterapia e nel valore di alcuni oggetti. Porto sempre al collo una catenina con appeso un angelo e non me ne separo mai, credo che abbia un effetto energetico.
D.- Nei suoi programmi è predominante l’elemento femminile. Ama l’introspezione della donna?
R.- Sì. Sedici anni fa, quando pensai ad Harem in realtà avevo in mente un’inchiesta approfondita sul post femminismo. Ma mi sono resa conto che era impossibile realizzarla per un giornale, così come l’avevo concepita, e che invece poteva diventare un programma televisivo. Devo dire che quando ho scritto il progetto spiegando come vedevo il confronto con tre donne, non immaginavo che mi avrebbero dato uno spazio in televisione. Ma andai lo stesso da Guglielmi, direttore di Rai Tre, che non conoscevo assolutamente, e gli sottoposi l’idea. Il giorno dopo mi disse di sì. Poi, la trasmissione ha avuto successo.
D.- Lei ha parlato di femminismo. Come si poneva, all’epoca, nei confronti di quel movimento?
R.- Ho frequentato per un po’ di tempo la Maddalena con Dacia Maraini, ho letto tanti libri, ho fatto qualche sit-in per quello che riguardava la richiesta di nuove leggi per la donna, per la famiglia, per il divorzio. Non ero esageratamente impegnata in questo senso, ma sicuramente condividevo il femminismo e il suo appello alla giustizia per la protezione dei diritti della donna e per la creazione di opportunità che a quell’epoca non avevamo.