Di Silvio Mitis
L’altro colore assoluto di Amorgos è questo blu cobalto, qui cercato, voluto, ritratto, filmato da Luc Besson, regista dell’onirico “Le Grand Bleu”(1988), che ha fatto diventare Amorgos un luogo di culto per i turisti francesi, anticipando di qualche anno il fenomeno tutto italiano della Kastellorizo di Gabriele Salvatores, l’isoletta del Dodecanneso protagonista di “Mediterraneo”.Il grande blu alla fine delle Cicladi ha attratto generazioni di francesi incantati da quei paesaggi resi immortali dalla colonna sonora di Eric Sierra, ma tanti fortunati italiani lo hanno comunque raggiunto o ci possono ancora andare per scoprire di persona quanto il mare in questa isola sia un elemento profondo e misterioso (in alcuni punti il fondale è di 700 metri!!), capace di riflettere in modo unico anche le stelle.
Due uomini, due amici, due rivali, due subacquei
Specie sotto il monastero e la chiesetta di Agia Ana il mare di Amorgos è una voragine blu pazzesca, uno spazio emotivo da esplorare e proprio qui nel ricordo cinematografico crescono, nuotano, si immergono e si sfidano due campioni assoluti dell’apnea subacquea, due amici-rivali, quelli che andavano più giù di tutti, fino a toccare gli abissi: Enzo Molinari (chiaramente ispirato al sub siciliano Enzo Majorca) e Jaques Mayol, entrambi attratti dalla azzurra ossessione ma ritratti con temperamenti molto diversi. Quanto esibizionista, rozzo, viziato e materiale il primo, impersonato da Jean Reno, quanto sensibile e ieratico, silenzioso, quasi mitizzato e fuso con l’elemento dell’acqua il secondo, il personaggio di Jean Marc Barre (“Non è di questo mondo”dice di lui Molinari nel film).
Il film racconta le loro vite una vita dopo, dopo la fanciullezza comune vissuta nell’ancestrale isola greca, dopo la morte per annegamento del papà di Mayol, dopo le sue nuotate simbiotiche coi delfini al chiaro di luna, dopo amori mai capiti forse perché troppo terrestri e non marini, dopo le gare e le immersioni solitarie negli altri mari del mondo. Finché l’esuberante italiano ritorna ad Amorgos per chiudere i conti col passato, cerca l’amico di un tempo e si lascia andare nei flutti del blu nell’ultima sfida, nell’ultima ricerca di un record, recuperando una dimensione sacra e umana fino a quel momento per lui sconosciuta.
Il mare come dimora ideale
Forse proprio per le differenti sfumature psicologiche e per questo racconto dei fatti e il non saper accettare la “sua” morte scenica, Majorca per 14 lunghi anni bloccò l’uscita del film in Italia ma poi il suicidio nella vita reale di Mayol lo rese più fragile e meno permaloso e accettò la storia che lo aveva legato al suo grande antagonista. In fondo la loro sfida era più contro la natura e contro sé stessi che avevano scelto il mare come dimora ideale. In quest’isola il mare richiama spesso la loro storia e capita anche di vedere i delfini, protagonisti forse della scena più bella del film.
Una volta nella vita bisogna arrivare qui
Tra il bianco e blu Amorgos permette tanti altri cammini di scoperta, attraversando sentieri aridi e ventosi, muretti a secco, cespugli di origano, incontrando capre e porticcioli, paesi nudi sulla roccia: ovunque si coglie la sensazione di una drammatica bellezza quasi primordiale. Una volta nella vita bisogna conoscere Amorgos, con fatica, con coscienza, con amore. In fondo non è difficile, basta percorrere con motorini o vecchie corriere 50 km di strada scavata nella sua verticale catena montuosa, guardare in faccia 2000 abitanti, imparare i loro balli o alzare il coperchio delle pentole nelle loro taverne, spalmarsi al sole sulle spiagge di Aegiali e di Agios Pavlos, fermarsi a guardare un relitto rimasto lì chissà da quanto tempo, perdersi nel suo grande bianco e tuffarsi nel suo grande blu.