Testo di Teresa Carrubba
Il “Dies Natalis Domini” è una festa conosciuta e nuova, misteriosa e reale. Nelle reminiscenze del passato troviamo costumi ancora oggi familiari, ma anche le origini si presentano labili nelle loro certezze. La data del 25 dicembre, per esempio, è più simbolica che storica. La nascita di Cristo, inizialmente fissata il 6 gennaio, solo nel IV secolo fu anticipata a fine dicembre, nel giorno in cui l’imperatore Aureliano introdusse la celebrazione del “Sol invictus” a conclusione del solstizio invernale.
Alla significazione cristiana, in un accavallarsi di epoche e di miti, si sono aggiunti al Natale residui di feste pagane, di riti antichi solennizzati alla fine e all’inizio dell’anno per propiziarsi le divinità. E’ per questo che in tante tradizioni popolari, ma anche in quelle liturgiche, si configura oggi un suggestivo intrecciarsi di elementi variegati, frutto dell’osmosi storica delle più disparate culture. Già molto prima della nascita di Cristo il 25 dicembre era, per i Romani il centro del periodo festivo che dai Saturnali(celebrazioni orgiastiche in onore di Saturno, dio dell’abbondanza) si prolungava fino alle calende di gennaio in apertura del nuovo anno.
Nello stesso mese anche i Teutoni nel Nord celebravano il Natale. E in Persia, in omaggio alla religione di Mitra, precorritrice del cristianesimo, si festeggiava la nascita del sole intramontabile. Nella tradizione ebraica di mezzo inverno la purificazione del Tempio costituiva un’occasione di festa di grande rilievo. L’odierno abete natalizio, esuberante di decori e scintillii, è in realtà il risultato di una mescolanza di tradizioni remote. E’ possibile attribuirne l’origine a un’usanza pre-cristiana secondo la quale, in pieno inverno,venivano tagliati rami di sempreverdi sui quali fissare candele accese per festeggiare il dio del freddo. I Romani decoravano i loro alberi con piccoli oggetti e ninnoli durante i Saturnali. I Druidi onoravano il dio Odino appendendo frutta e altre offerte ad una pianta. Gli antichi Egizi, a fine anno, portavano nelle proprie case piccoli esemplari di palma da dattero come simbolo d’immortalità. Ma senza andare troppo in là nel tempo, nella Germania medievale, durante l’Avvento, venivano organizzate rappresentazioni teatrali a tema religioso, riguardanti soprattutto Adamo ed Eva nel Paradiso Terrestre.
Sul palcoscenico non poteva mancare il “fatidico”albero della vita, che negli anni divenne popolare anche al di fuori delle rappresentazioni, antesignano del moderno abete di Natale. La paternità della prima decorazione sembra andare a Martin Lutero. Fuori per una passeggiata alla vigilia di Natale, fu così colpito dalla distesa di stelle che rischiarava la notte da voler riproporre la stessa suggestione appendendo delle candele accese ai rami di un abete. Se la patria riconosciuta dell’albero di Natale è la Germania, agli italiani spetta la primogenitura di quel suggestivo, immutabile scenario che è il presepe. Fu San Francesco a realizzarlo per primo, nel 1223, a Greccio. E il Natale di Greccio ogni anno si rinnova in commemorazione di quell’evento.
La Vigilia, al tramonto, un corteo di messi in costume medievale percorre a cavallo le strade del paesino annunciando la fiaccolata serale che porterà una processione di fedeli verso il santuario dove viene rievocato l’incontro tra Francesco e un contadino amico che gli procura un bue e un asino per celebrare la messa davanti a una mangiatoia. E da Greccio, piccolo villaggio medievale nei pressi di Rieti, la tradizione del presepe si diffuse in tutta Europa. Tuttavia, la culla del presepe visto come ambientazione scenografica complessa, è sicuramente Napoli.