Testo di Giuseppe Garbarino
Se si potesse facilmente scivolare lungo i declivi dei monti del Chianti verso il Valdarno Superiore, facendosi trasportare dalle correnti dei venti in direzione di Vallombrosa, potremmo osservare una strana costruzione, inconsueta, ai più strana, per altri solo curiosa, sicuramente una presenza anomala nelle terre del Rinascimento. Immerso in un rigoglioso parco secolare è il Castello di Sammezzano, un edificio che ricorda più facilmente luoghi esotici del lontano Marocco o della Spagna arabeggiante, ma che affonda le sue radici storiche a quasi duemila anni fa, forse addirittura a prima, quando era utilizzato come luogo di controllo e avvistamento sulla valle dove la viabilità della via Flaminia Militare si congiungeva con la Cassia.
Fortilizio triste e cupo di proprietà granducale, venne acquistato nel 1605 dal Cavalier Ferdinando Odoardo Ximenes d’Aragona, il quale iniziò i lavori di trasformazione per renderlo luogo di piacere e delizie, come si conveniva ad un nobile dell’epoca. Fu però secoli dopo, quando gli Ximenes si estinsero e la proprietà diventò dei Panciatichi Ximenes che con lucida follia il proprietario si dedicò a realizzare questa fiaba eclettica, un vero revival che assomiglia ad una confusione architettonica, ma che nel suo insieme stupisce e quasi anticipa quei momenti in cui Gabriele D’Annunzio alla fine dell’Ottocento volle vivere alla Capponcina, la villa sulle colline di Firenze trasformata in un monumento del gusto estetico decadente “la vita del signore rinascimentale”. Sammezzano, nella sua unicità, deve quindi la sua attuale connotazione moresca non solo agli interessi per la cultura e architettura araba di Ferdinando Panciatichi Ximenes, che volle riassumere in modo stupefacente alcuni dei luoghi più significativi del mondo arabo, ma anche alla forte aspettativa orientalista che si formò nel periodo di Firenze capitale d’Italia, in un momento in cui il giovane regno si poneva come tramite tra l’Europa e l’oriente.
La villa esternamente ricorda il Taj Mahal, mentre le sale interne, con le sue decorazioni uniche, sono ispirate all’Alhambra di Granada, ogni sala è un riassunto di ispirazione arabo moresca, i colori dell’arcobaleno si annientano improvvisamente quando si entra nelle sale monocromatiche come la sala bianca, dove unica concessione sono i vetri colorati che creano piccoli decori. Il castello è circondato da un parco che da solo meriterebbe una visita, infatti il Panciatichi vi mise a dimora numerose piante di provenienza esotica e rara che si inseriscono nel contesto dei manufatti in stile arabo che appaiono qua e là. Oggi molte delle piante originali non esistono più, alcune specie sono state nuovamente introdotte, mentre le sequoie giganti rappresentano il gruppo più numeroso presente in Italia. il Castello di Sammezzano e tutto il suo parco sono stati aggiudicati per 15 milioni e 400mila euro in un’asta pubblica da una società degli Emirati, la Helitrope Limited che ha sede a Dubai.
La speranza è che detta sociatà possa restaurare il castello e riaprirlo definitivamente al pubblico e riprendere le visite guidate al parco e all’interno del castello, e a valorizzare la figura del marchese Ferdinando Panciatichi, uno dei protagonisti della vita culturale, sociale e politica di Firenze, in particolare nel periodo che va dal 1850 al 1870 quando la città toscana divenne capitale d’Italia.O per altro ancora. Nel 2015 un sussulto di novità ha trasformato il luogo in location per girare alcune scene del nuovo film di Matteo Garrone, “The tale of tales”, con Salma Hayek e Vincent Cassel e ispirato ad alcune favole in lingua napoletana, raccolte nella collana ‘Lo cunto de li cunti overo lo trattenemiento de peccerille’ di Giambattista Basile, uno scrittore campano del XV secolo; ieri come oggi la fiaba architettonica cerca il suo apologo letterario e mediatico.