Definire la Bolivia una terra di contrasti non basta. Questo è, in realtà, un paese di estremi. E’ la nazione più elevata, più isolata e più aspra dell’emisfero. E’, nel contempo, uno dei luoghi più freddi, più aridi, più salati e più paludosi del pianeta. Pur essendo uno dei paesi più poveri del Sud America è anche uno dei più ricchi in termini di risorse naturali. E’ la nazione sudamericana con la più alta percentuale di popolazione indigena: oltre il 60% degli abitanti appartiene alle etnie Aymarà, Quechua, Guaranì e ad altri trenta gruppi.
La Bolivia, dunque, ha tutto, tranne il mare! Questo viaggio inizia a La Paz, o meglio, Nuestra Seňora de La Paz, inebriante non solo per la sua altitudine (3.660 m.) ma anche per la sua eccentrica bellezza con gli edifici abbarbicati ai fianchi della montagna, i suoi mercati ed i suoi vicoli ancora pregni delle tradizioni indigene. In realtà, secondo la Costituzione, l’unica vera capitale è Sucre, la città bianca, fiera ed elegante, simbolo della nazione. Ma per apprezzare il cuore indigeno del paese, bisogna vedere Potosì, “il tesoro del mondo e l’invidia del re”. L’antica città coloniale, ai piedi del Cerro Rico, raggiunse il suo apogeo in seguito alla scoperta accidentale di ricchi filoni d’argento che hanno arricchito per generazioni i regni e le dinastie europee.
Le chiese in stile barocco-mestizo sono la testimonianza di un passato di splendore e follie. Indios e schiavi di colore erano obbligati dalla Ley de la Mita, istituita dal viceré Toledo, al lavoro forzato nelle miniere. La mortalità era elevatissima per i disgraziati segregati sotto terra, in cunicoli privi d’aria, a contatto con ogni sorta di effluvi velenosi. Oggi, allo sfruttamento dell’argento, si è sostituito quello dello stagno ma, benché il lavoro sia affidato a delle cooperative, i minatori continuano a scavare con metodi arcaici e turni massacranti, come ai tempi dei conquistadores. La visita delle miniere è un’esperienza che lascia il segno, una vera e propria discesa agli inferi! Un folto gruppo di Indios quechua attende fuori il suo turno, masticando foglie di coca fino a formare un bolo che deforma la guancia.
Le gallerie sono un vero labirinto su più livelli, nessuna misura di emergenza, nessun piano di evacuazione! La flebile luce delle lampade a carburo, fissate sul casco, illumina l’intrico di cunicoli scavati nella roccia e privi di travi di sostegno.
Il trasporto del minerale viene effettuato a mano e gli incidenti, dovuti ai crolli o alle esplosioni, sono all’ordine del giorno. Il protettore dei minatori è il diavolo in persona, chiamato affettuosamente “el tio”, lo zio, la cui effige rossa e spaventosa si cela in una cripta. Qui vengono depositate le offerte: sigarette, alcool puro e foglie di coca. Quando si riemerge alla luce del giorno, si osserva il mondo con occhi nuovi, grati e consapevoli di essere dei privilegiati. Ciò che rende un viaggio in Bolivia assolutamente unico, sono i grandiosi panorami degli altopiani: la sconvolgente bellezza delle lagune, verde, blanca e colorada nelle cui acque si specchiano i vulcani con le cime innevate, le polle di fango ribollente dei Geysers di Sol de Manana a 4.850 metri ma, soprattutto, il Salar de Uyuni, la più grande distesa salina del mondo a 3.600 metri di altitudine con, al centro, l’Isla Incahuasi ricoperta di cactus. Durante la stagione secca, il salar si presenta come un’accecante distesa bianca con la superficie segnata da una rete di esagoni regolari. Con l’arrivo delle piogge, da dicembre a marzo, si trasforma in un immenso specchio d’acqua che crea incredibili effetti ottici.
Sulle pendici dei monti circostanti si possono visitare le caverne con mummie di 3.000 anni e nella cittadina di Uyuni si trova lo spettrale cimitero dei treni. Tappa successiva: le rovine Inca di Tiahuanaco ed il lago Titicaca (3.820 m.), macchia blu zaffiro nella piana desolata dell’altopiano. A Copacabana, sulle sponde del lago, ci si imbarca per raggiungere l’Isla del Sol, una delle isole sacre degli Inca, ma l’attrattiva principale è la chiesa di Nuestra Senora de la Candelaria. Questo santuario è meta di pellegrinaggi per le popolazioni indigene che si rivolgono alla Virgen de la Candelaria o Virgen Negra per chiedere grazie di ogni sorta: soldi, lavoro, figli. I sacerdoti si danno un gran daffare a benedire le automobili che aspettano, in fila, il loro turno, addobbate con fiocchi multicolori. Le famiglie riunite, festeggiano rumorosamente con copiose libagioni. In Bolivia, più che altrove, l’anima della famiglia e della società sono le donne, le famose “cholitas”.
Queste signore ben piazzate indossano con disinvoltura le ampie gonne colorate, in strati sovrapposti e la mitica bombetta, in bilico sulle lunghe trecce nere. Buffe e poco curate ispirano immediata simpatia. Vivono alla giornata, spesso inventandosi un lavoro per sostentare la famiglia. Sanno farsi rispettare in una società dura e patriarcale dove devono difendersi da continue minacce e violenze. Oggi queste donne piccole e tozze hanno deciso che il pugilato non è solo uno sport maschile e si guadagnano rispetto e dignità sul ring! Le “fighting cholitas”, senza spogliarsi degli abiti tradizionali, si esibiscono nei quartieri popolari delle grandi città ottenendo successi strepitosi in cambio di modesti guadagni. Sono l’emblema più significativo e toccante del coraggio e della voglia di riscatto di una nazione che, da secoli, combatte per la propria libertà.
Testo e Foto di Anna Alberghina