La bella Civita di Bagnoregio, in provincia di Viterbo, è un comune che vanta il titolo di uno dei borghi più belli d’Italia, definito dal saggista e romanziere Bonaventura Tecchi, nativo di Bagnoregio, la città che muore.
E in parte è vero, a causa della continua erosione di acqua da parte di due piccoli torrenti a valle, il Rio Chiaro e il Rio Torbido, che stanno minando il colle tufaceo su cui sorge il paese. Paese al quale si accedeva, in passato attraverso quattro porte, oggi, da un unico e stretto ponte in cemento armato, costruito nel 1965, di 300 metri a strapiombo sulla vallata e percorribile solamente a piedi. Il precedente ponte, naturale, crollò a causa del terremoto del 1794 e collegava Civita alla borgata esterna della Rhota. Fu allora che la maggior parte degli abitanti si trasferì alla Rhota, la contrada che, sorta nel XII secolo, costituisce oggi il centro storico di Bagnoregio.
“Quando al mattin leggera nebbia stagna lungo i tuoi fianchi, e d’essa ti rivesti, isola sembri che nel mar si bagna tal da un fiabesco sogno un si ridesti”.
Dal poemetto A Civita di Mario Bartoloni
Civita di Bagnoregio fu fondata dagli etruschi 2.500 anni fa circa; le più antiche tracce della presenza umana nell’area, appartengono però ad epoche molto più remote. Le testimonianze archeologiche ci riportano comunque all’epoca etrusca, grazie alla necropoli ritrovata nella rupe sottostante il belvedere di San Francesco Vecchio. Anche la cosiddetta grotta di San Bonaventura, dove si narra che San Francesco guarì con un miracolo il piccolo Giovanni Fidanza (San Bonaventura), sembra fosse una tomba a camera etrusca trasformata nel Medioevo in cappella per le orazioni.
Dai pochi documenti reperiti risulta che Civita di Bagnoregio e Bagnoregio fossero due contrade di una stessa città che fino al XI secolo era denominata Balneum Regis, letteralmente “bagno del re”, toponimo di origine goto-longobarda per definire una proprietà regia. Ma la leggenda vuole che a darle questo nome sia stato Desiderio, re dei Longobardi, guarito da una grave malattia grazie alle acque termali presenti nella città.
Il più importante monumento di Civita di Bagnoregio è la Porta di S. Maria, sormontata da una coppia di leoni sotto i cui artigli vi sono due teste umane, simbolo dei tiranni sconfitti dai bagnoresi. Poco più avanti, nella piazza principale San Donato, la romanica Cattedrale di S. Donato, con il campanile del XII secolo, ma rimaneggiata nel VXI secolo, scrigno dello stupendo crocefisso ligneo quattrocentesco, della scuola di Donatello e di un affresco della scuola del Perugino. I palazzi rinascimentali dei Colesanti, dei Bocca e degli Alemanni, quest’ultimo adibito a Museo geologico e delle frane, si ergono nelle viuzze, caratterizzate invece da piccole case basse con balconcini e scalette esterne dette profferli; il profferlo è un elemento tipico dell’architettura civile del Medioevo e molto diffuso nel Lazio e in particolare nel viterbese.
Ancora oggi il borgo riesce a conservare il fascino di un luogo incantato, dove il tempo sembra essersi fermato. Se non fosse per il ponte, che lo collega alla terraferma, sembrerebbe addirittura sospeso nell’aria. Sensazione accentuata in caso di nebbia o di neve.
Le macchine non sono ammesse, anche se è recente una circolare del comune di Bagnoregio che permette, in determinati orari, ai poco più dei 10 residenti e a chi vi lavora, di percorrere il lungo ponte in bicicletta o in ciclomotore.
Merita naturalmente una visita anche il capoluogo, Bagnoregio che vanta la rinascimentale Porta Albana, la Cattedrale di S. Nicola e il Tempietto di San Bonaventura in cui sono conservati una bibbia del XII sec. in pergamena miniata, forse appartenuta allo stesso santo e la teca argentea con le reliquie di San Bonaventura. Da visitare, infine, la Chiesa dell’Annunziata, di epoca romanico-gotica.
Per gli amanti della buona cucina da provare la pasta tipica di questa zona, i “piciarelli” anche detti “strozzapreti”: spaghettoni a base di farina e un po’ di acqua, che conditi con lardo soffritto, allietavano le tavole dei commensali nel corso delle festività. Ed ancora, le fettuccine condite con sugo a base di interiora di pollo.
Ottima, poiché ancora realizzata artigianalmente, la lavorazione di carne di maiale dalla quale i macellai ottengono prosciutti, salsicce, capocolli, porchetta e pancetta arrotolata con spezie e aromi.
Testo di Raffaella Ansuini. Foto di Marco Aschi e d’archivio